Figli della Divina Provvidenza (FDP) A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W Z ordine alfabetico per Cognome
Necrologio Figli della Divina Provvidenza (ricordati nel giorno anniversario) |
M (107) 9. Mancin Mario 10. Mancini Antonio 11. Mancini Giovanni 12. Mancini Tullio 13. Manduca Eugenio 14. Manfreda Emilio 15. Manfrin Mario 17. Mangino Amedeo 18. Marabotto Biagio 21. Marengo Manuel 22. Mariani Enrico 24. Mariano Giulio 25. Marin Pasqualino 26. Marinacci Filino 28. Marra Nicola 29. Martello Remigio 31. Martini Giuseppe 34.
Martins De Araujo Joaquim J. 35. Masante Simone 36. Mascalin Umberto 37. Masci Salvatore 38. Mase Gino 39. Masi Adelmo 40. Masiero Giuseppe 41. Masolini Adone 42. Massardi Mario 43. Massardi Pietro 44. Massignan Noe 46. Masucci Pasquale 47. Masuri Pietro 50. Matricardi Carlo 51. Mattei Vincenzo 54. Mauri Antonio 55. Mazza Pasquale 56. Mecozzi Pacifico 57. Meinero Biagio 58. Meinero Giorgio 59. Mellera Pietro 60. Melli Francesco 61. Melomo Antonio 62. Melomo Michele 63. Mendes Leonildo 68. Mercati Carlo 69. Merino Ignacio 70. Merlo Luigi 71. Mezzalira Angelo 78. Migliore Pietro 80. Milani Giuseppe 82. Mis Antonio 83. Misa Paolo 85. Missagia Alfredo 86. Mocali Rino 87. Molina Dagoberto 89. Monea Domenico 91. Montagna Mauro 92. Morelati Cesare 93. Moreno Roberto 94. Moretti Giuliano 95. Morini Domenico 96. Morlupi Raul 99. Moroni Placido 100. Mostarda Cezario 101. Mrotek Maciej 102. Mugnai Angelo 103. Mura Sergio 104. Mussa Giuseppe 105. Mussatti Giovanni 106. Musso Giuseppe 107. Mustacchio Arturo |
da Pianfei (Cuneo), passato al Signore nel Piccolo Cottolengo di Napoli il 25 febbraio 1989 a 77 anni di età, 56 di professione religiosa e 46 di sacerdozio. Riposa nel cimitero di Tortona. Ricevuto a Tortona dal servo di Dio, don Sterpi, il 21 novembre 1929, fece le tre prime classi ginnasiali in Casa Madre (1929-1930), le due ultime l'anno 1930-31 e la la filosofia a San Bernardino, quale "carissimo", lavorando cioè mezza giornata nella costruzione del Santuario della Madonna della Guardia. Dall'agosto 1932 allo stesso mese del 1933 compì il noviziato a Villa Moffa sotto la guida del venerato don Cremaschi, conchiuso dai primi Voti religiosi, il giorno dell'assunta 1933. La vestizione l'aveva fatta per le mani di don Orione il 29 agosto 1931 nel Santuario della Guardia. La professione perpetua, emessa il 6 marzo 1943, coronava un tirocinio di studi e di fatica manuale praticata a Milano (Piccolo Cottolengo, 1933-34), alla Colonia S. Innocenze come assistente dei giovani buoni figli (1934-36), a Poggio Tulliano-Roma (aprile 1936, agosto 1939), in aiuto a don Opessi ivi parroco, facendo nel contempo i primi corsi di teologia, e poi in Casa Madre a Tortona dove la completò (1939-1941). Ordinato sacerdote a Tortona il 19.6.1943, in quel difficile periodo bellico venne destinato alla città che divenne poi la sua prediletta, a Napoli quale cappellano dei profughi e sinistrati (1943-45), cappellano al Porto (1945-1946) e direttore del Piccolo Cottolengo (1948-1952). Dal 24 settembre 1952 al 1955, la fiducia dei superiori e confratelli lo fece eleggere direttore provinciale della Provincia "Santi Apostoli Pietro e Paolo". Nel 1955 ritornò a Napoli, al Piccolo Cottolengo, ancora come direttore. Nel 1961 passò a Roma direttore della Casa dell'Orfano in Trastevere. Nel 1970 lo troviamo a Gibellina (Trapani) in comunione di fatiche e di zelo con don Piccinini, coi chierici, teologi, accorsi da Tortona e, con le Volontarie di don Orione, per un'opera preziosissima di soccorso e di conforto alle vittime del terremoto del Belice. Tornato a Napoli, vi restò come sede permanente in fraterna collaborazione con i confratelli, che via via vi si succedevano, alla ricerca delle più urgenti e utili destinazioni di quest'Istituto che tanto onora la Congregazione. Gli ultimi anni don Musso li ha anche dedicati alla redazione del foglietto mensile della Casa e recentemente ha avuto la consolazione di vedere pubblicate le sue memorie sugli anni trascorsi a Napoli, in un volume veramente apprezzato, meritevole di elogio. Gioviale e aperto era pieno di riguardi e attenzioni verso i suoi assistiti e i confratelli: molti di noi ricordano il beato nostro Fondatore quando si divertiva a scherzare lepidamente con lui, invitandolo a parlare e scrivere in ...cinese. Don Musso resta nella memoria per il suo lavoro tenacemente svolto nelle varie mansioni affidategli, e per l'attaccamento alla Congregazione, felice sempre di quello che la onorava, degli sviluppi e delle sue speranze. Subito dopo l'Ordinazione sacra aveva scritto a don Sterpi, il 23 giugno 1943: «Faccia Iddio misericordioso anche di me — come dell'Innominato del Manzoni — un suo strumento di bene per beneficare, un trofeo della sua misericordia». Piace riportare parte del discorso fatto dal nostro don Gemma "in die trigesima" sul caro don Musso: "Sono contento di trovarmi qui con voi stasera. Sento che dovevo, anche a nome della Direzione generale dell'Opera don Orione — rendere questo tributo devoto di riconoscenza a colui che ricordiamo nel trigesimo della pia morte, al nostro carissimo don Giuseppe Musso. Sono venuto appositamente da Roma per dare, questa testimonianza di affetto, di stima, di preghiera nei confronti di così degno figlio di don Orione, che Napoli ha avuto come instancabile animatore ed apostolo, oltreché ammiratore sincero, lui nativo del nord-Italia... Il ricordo di lui non deve essere un ricordo nostalgico e triste, deve essere sì la proclamazione, piena di fede, di speranza, di amore, che egli, con tutti i morti in Cristo, continua a vivere. Si i nostri morti vivono e sono con noi. Liberi dai legami della materia, ci sono vicini come mai lo sono stati quando erano con noi visibilmente. Che pensiero confortante! I nostri cari (io penso al mio babbo, al mio fratello che ho visto morire qualche anno fa, molto più giovane di me) non li abbiamo perduti, non li ho perduti. Li ho sempre con me, perché, dato che sono nella luce della resurrezione, dato che vivono nella gloria, nello spirito, sono dovunque li insegue il mio affetto, la mia preghiera, il mio ricordo. Sono qui i nostri morti. Dobbiamo sentirli. Dobbiamo vederli, certo con l'occhio della fede e con l'affetto del cuore. Pertanto il ricordo dei morti, specialmente di coloro di cui, piamente, con fondamento, crediamo che sono già pienamente nella luce di Dio, come pensiamo del nostro carissimo don Musso, il ricordo di essi significa: noi siamo presenti a loro per dire loro "grazie", prima di tutto, per quanto hanno fatto, per quello che sono stati per noi col loro esempio, con la loro parola, con il loro lavoro; e poi per chiedere loro che, dalla luce di Dio in cui sono entrati, si ricordino di noi. Noi presenti a loro, loro presenti a noi: quale scambio, quale corrispondenza d'amorosi sensi! Quindi il ricordo dei morti è un ricordo sereno, è un ricordo fruttuoso, starei per dire "gioioso", illuminato tutto dal gaudio pasquale della resurrezione di Gesù. Così ricordiamo anche lui, il nostro don Musso. Sì, io ricorderò don Musso come voi lo ricordate e lo ricorderete. Non lo ricorderò come l'ho visto le ultime volte che ci siamo incontrati, sempre tuttavia amabile, sempre scherzoso, sempre lepido, sempre servizievole, sempre gentilissimo, ma molto provato nel fisico ammalato. Non lo ricorderò così. Io lo ricorderò come l'ho conosciuto quando ero ragazzo; quando lui mi ha guidato — è stato mio Direttore provinciale, mio superiore maggiore — e mi ha lasciato soavissima impressione di paternità, di attenzione, di interessamento premuroso. Qualcuno dei presenti lo ricorda come suo direttore nei primi anni tribolati del dopo guerra, sostituto meraviglioso di genitori perduti o lontani. Lo ricorderemo così: pieno di vita, pieno di speranza, pieno di ottimismo; l'uomo del sorriso intramontabile, l'uomo della parola pronta e lepida, dell'espressione facela inesauribile, della parola che per forza strappava il riso anche da labbra intristite; l'uomo che incatenava con i suoi racconti, con la narrazione di inesauribili avventure; l'uomo che affascinava grandi e piccini con quella bonaria semplicità tipica delle personalità grandi e sagge, l'uomo soprattutto che ridava serenità e fiducia. Oh, come emanava serenità da tutta la persona di lui. Domando: c'è o no bisogno oggi di chi sappia ridonarci serenità e fiducia? Eccome! Viviamo in un momento quant'altro mai tribolato e preoccupato: abbiamo bisogno di ritrovar fiducia e speranza. Ebbene se una lezione dobbiamo raccogliere da don Musso e dal ricordo di lui, è un richiamo urgente alla fiducia e alla speranza. Questa lezione egli imparò da don Orione, suo padre e maestro. Don Orione — ricordate — si portò su luoghi di immensa sventura, come a Reggio Calabria e Messina, come ad Avezzano, dopo i famosi terremoti — e vi fece rinascere la speranza. Don Musso venne a Napoli distrutta dalla guerra e in quelli che incontrò — tanti — seppe infondere il coraggio della speranza, della rinascita, della rinnovata fiducia. Sono in tanti, oggi, a dirgli grazie per questo, tra cui distinti professionisti, onorati cittadini, bravi religiosi... Questa lezione di speranza e di fiducia don Musso imparò dalla fede cristiana, attinta nella sua buona famiglia, rinvigorita alla scuola di don Orione, alimentata dalla resurrezione di Gesù. È una lezione che ci vogliamo portare dietro anche noi mentre lo ricordiamo, mentre gli ripetiamo il "grazie", della comunità di Napoli, della schiera degli amici, di tutta intera la Congregazione; mentre ci raccomandiamo alle sue preghiere e gli offriamo le nostre, nel caso ne avesse bisogno. E se non ne ha bisogno, come crediamo, gli diciamo che, con quel cuore grande che aveva, un cuore pieno di bontà, un cuore dedicato al servizio e all'amore degli umili, dei piccoli, dei semplici, con quel cuore che aveva e che ci ha dimostrato fino all'ultimo, distribuisca lui, davanti a Dio, il frutto delle nostre preghiere di questa sera. E preghi anche per noi qui presenti. Sì, lui, insieme agli altri nostri cari, insieme ai nostri "santi di famiglia", insieme a tutti coloro che ricordiamo con affetto, voglia preoccuparsi di noi che siamo ancora in cammino. Siamo qui non per ricordare un morto, ma un caro compagno di viaggio. Siamo qui per ricordare, alla luce degli esempi di don Musso, qual'è la meta del cammino che stiamo facendo. Un cammino pieno di difficoltà. Un cammino che non sappiamo quello che ci riserverà, specialmente nell'ultima fase. Un cammino senza dubbio che ha per meta la resurrezione e la gloria. La nostra fede nella risurrezione è il contenuto della nostra pia memoria di coloro che ci hanno preceduti alla patria. In quella patria in cui tutti speriamo di ritrovarci un giorno. C'è per questo una condizione. Ce l'ha insegnata con tutta la sua vita don Musso: la condizione di spendersi per gli altri, di dimenticare se stessi e pensare agli altri, di fare del bene sempre, di far del bene a tutti, del male mai a nessuno. È la lezione di don Orione. È la lezione di questo suo degno figlio. È semplicemente la lezione di Gesù, "colui che ha dato la vita in riscatto per i molti, cioè per tutti gli uomini". Atti e comunicazioni della curia generale, gennaio aprile 1989
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