SAC. CIRILLO LONGO
Spentosi nel nostro
Centro Don Orione di Bergamo il 19 marzo 2020, solennità di San Giuseppe. Aveva
95 anni di età, 78 di professione religiosa e 67 di sacerdozio. Apparteneva
alla Provincia religiosa “Madre della Divina Provvidenza” (Italia).
Proprio
il giorno prima aveva festeggiato il suo santo patrono San Cirillo e compiuto
95 anni, con la “coronavirus mariana” in mano e la convinta devozione a San
Giuseppe, apprese dal fondatore Don Orione.
Era
nato il 18 marzo 1925 a Saletto nella bassa Padovana, primogenito di Patrizio e
di Elvira Piovan, ch’ebbero altri sette figli; fu battezzato il 29 successivo e
cresimato il 17 gennaio 1932 nella locale parrocchia di San Lorenzo martire.
La
sua vocazione iniziò dalla fede semplice e vissuta nella sua terra, in una
famiglia contadina dove la preghiera era sentita come un momento importante;
ricordava: “con il nonno e la mamma facevamo ogni giorno tre chilometri a piedi
per recarci alla Messa e altrettanti di ritorno, con la neve o con il sole, ma
non ci pesava.”. Dopo le elementari, con l’aiuto del parroco, fu accolto al “Panzarasa” di Tortona (Alessandria) il 23 ottobre 1937,
iniziando le medie e ricevendo l’abito religioso nella festa della Madonna
della Guardia, il 28 agosto 1938; a Milano per completare la terza media, ebbe
la grazia di conoscere Don Orione e assisterlo varie volte nella celebrazione eucaristica
dei “martedì milanesi” nei quali il Fondatore incontrava amici, benefattori e
poveri (1937-40).
Dopo
la prima ginnasiale a Buccinigo d’Erba (Como), passò al noviziato di Villa
Moffa di Bra (Cuneo) coronandolo con la prima professione, il 15 agosto 1942,
completando il corso ginnasiale e il liceo nel vicino Istituto San Tommaso
(1942-46).
Il
suo fruttuoso tirocinio lo fece assistente ed insegnante agli orfani del
“Manin” di Venezia, con i mutilatini di guerra di Don Gnocchi ad Arosio (Como)
e all’istituto “Berna” di Mestre (Venezia) dal 1946 al 49.
Preceduta
dalla professione perpetua al “Berna” di Mestre (10 ottobre 1948), nel
Seminario Maggiore Orionino di Tortona completò la formazione carismatica,
teologica ed ecclesiale con la ricezione dei sacri ordini del Diaconato il 20
dicembre 1952 e il 29 giugnoi1953 – con altri 23 suoi confratelli – fu ordinato
sacerdote dal Vescovo Ausiliare di Tortona, nel santuario Madonna della Guardia
(1949-53). Il 13 agosto 1983 ebbe la gioia di emettere il IV Voto di speciale
fedeltà al Papa sulla Tomba del Principe degli Apostoli nella Basilica
Vaticana.
Dopo
l’ordinazione, per Don Longo iniziò con l’apostolato educativo e caritativo,
una “missione” come economo e strumento della Provvidenza: a Cuneo nella
Colonia S. Antonio per orfanelli (1953-55) dove, - ricordava – con momenti di
miseria, l’unico sostegno era veramente la cassetta delle elemosine dedicata al
Santo; qui contrasse una malattia che, dopo adeguate cure a Fubine e a Gallio
(Vicenza), non gl’impedì tuttavia di continuare il suo impegno sacerdotale e
religioso. Ripresa la salute fu destinato educatore ed economo all’istituto Don
Orione di Alessandria (1956-59) indi al “Dante” di Tortona, economo dal 1959 al
1968. Dopo un anno all’economato del Cottolengo di Milano fu nominato direttore
dell’istituto “Artigianelli” di Venezia (1969-75) e con lo stesso incarico
passò al Cottolengo di Santa Maria la Longa (Udine) fino al 1978.
Trasferito
alla comunità di Torino – Casa del Giovane, collaborò solo un anno, vicario,
economo e incaricato d’opera alle Vallette, avendolo i Superiori nominato
Economo della Provincia “San Marziano” con sede a Milano (1979-88). In questo
suo apostolato amministrativo-economico si distinse nel seguire le costruzioni,
il miglioramento e l’adeguamento delle varie opere alle normative civili e al
benessere dei poveri (tra queste, il Centro Don Orione di Bergamo e la Casa Don
Orione di Trebaseleghe (Padova).
Intraprese
vari viaggi anche all’estero, in Spagna, Romania, Polonia, portando materiali
vari e necessari, aiutato da benefattori, che curava come Don Orione, con
gratitudine e nella preghiera.
Al
“Don Orione” come viene comunemente chiamato il Centro sorto sulle colline di
Redona, periferia di Bergamo, reso possibile dalla munificenza dei Redonesi Tito Legrenzi e della consorte Francesca Maironi, inaugurato il 17 aprile 1988, Don Longo, assieme a
Don Guido Borchini, lo diresse e lo rese una
struttura all’avanguardia come casa di riposo per anziani e per i servizi
offerti, diventando parte della vita e della storia di tante famiglie. In
quest’opera Don Longo si prodigò dal 1988 al 2003: vicario ed economo
(1988-1993), direttore (1993-2002), consigliere provinciale (1997-2000),
economo (1999-2003) e vicario (2002-2003).
Dal
2003 al 2005 passò alla comunità di Botticino Sera, vicario e incaricato
d’opera per Toscolano Maderno (Brescia), e per un triennio direttore della
comunità e del Cottolengo di Seregno (Monza-Brianza).
Dopo
un anno a Buccinigo d’Erba (Como), vicario ed economo, dal 2009 collaborò come
consigliere e cappellano nel Cottolengo di Santa Maria la Longa (Udine) fino al
2017 quando, per la salute fece ritorno al suo amato “Don Orione” di Bergamo,
del quale era considerato un’istituzione collaborandovi per tre anni ancora,
fino alla fine. Qui lo attendevano la S. Madonna, San Cirillo, San Giuseppe e
San Luigi Orione per accompagnarlo a ricevere dal Signore il premio del “Servo
di Cristo e dei poveri.”.
Il
confratello, per quanti lo conobbero “resterà nel cuore per il suo spirito combattivo,
determinato, generoso e creativo, col suo sorriso e giovialità nei rapporti
umani. Un grande testimone di Cristo, fedele alla sua vocazione fino all’ultimo
respiro.”. Fu sempre al servizio dei sofferenti, per scelta.
La
salma fu poi sepolta nel cimitero del paese nativo di Saletto (Padova).
Cento preti
italiani sono morti per via del Covid-19. Dal sacerdote che è morto esultando a
quello che ha donato il suo respiratore ad un giovane. Il virus non può nulla
contro la fede nel Paradiso
Francesco Boezi- Lun, 06/04/2020
- 20:32
Cento preti italiani sono deceduti dopo aver contratto il nuovo
coronavirus. Esistenze che il Covid-19 ha
colpito senza lasciare scampo.
Nell'elenco figura pure Don Cirillo Longo, che è
morto esultando. Il parroco alla fine degli anni 80' aveva fondato Il centro
don Orione a Bergamo, la città simbolo della "guerra" italiana contro
il "nemico invisibile".
Prima di esalare il suo ultimo respiro, il prete ha alzato le
braccia in cielo, in direzione del Paradiso. Don Cirillo aveva 95 anni. Le
cronache raccontano di come le sue ultime parole siano state: "Non abbiate paura,
perché tutti siamo nelle mani di Dio. Ci vediamo di là”. Su
quel "non abbiate paura" è inciso il copyright di San Giovanni Paolo
II. Quella espressione è stata richiamato alla mente pure da Papa Francesco nel
corso della celebrazione per la Domenica delle Palme.
Il 22 marzo scorso il conteggio era fermo a 50 consacrati
deceduti. Ora è raddoppiato. C'è anche chi aveva appena 45 anni. C'è chi ne
aveva più di 100. Ma il fattore anagrafico, in questa storia, può essere
lasciato in secondo piano. Tra chi crede, c'è chi usa sottolineare come non sia
affatto detto che tutto debba andare bene. Di sicuro chi crede in Dio pensa che
tutto tenda al Bene. Quello con la lettera maiuscola. Don Giuseppe Berardelli è
morto a Bergamo, dopo aver dato prova di eroismo.
Jorge Mario Bergoglio ha consigliato ai giovani
del mondo di guardare ai gesti semplici, che sono propri di coloro che stanno
combattendo in prima linea questa battaglia. Gli eroi quotidiani, appunto. Come
Don Giuseppe, che ha optato per rinunciare al suo ventilatore, dirottando quel
diritto alla respirazione verso un giovane, che a detta del prete ne aveva più
bisogno.
Il contagio non prevede limiti geografici precisi: i preti
italiani sono stati bersagliati dal Covid-19 prescindendo dai luoghi, così come
ripercorso dall'Adnkronos.
Don Sergio Buttitta è morto a Palermo, mentre ricorreva l'anniversario della
scomparsa del Papa polacco. Nella parrocchia in cui il prete era incaricato è
presente una reliquia di Karol
Wojtyla. Don Corrado Forest da
Vittorio Veneto verrà ricordato pure perché ad ordinarlo era stato Papa
Luciani, che sul tema della solidarietà, ha pronunciato parole che suonano
attualissime:"...siamo
un'unica barca piena di popoli ormai ravvicinati nello spazio e nel costume, ma
in un mare molto mosso". Quello in cui se non vogliamo
"andare
incontro a gravi dissesti", conviene tenere a mente il
"tutti
per uno uno per tuttii". Un
atteggiamento che prevede di "insistere
su quello che unisce" e di "lasciar perdere quello che divide" .
La Lombardia
soffre più di altre Regioni. Questa sembra essere una costante di questa
storia. E vale anche per i preti: 25 sacerdoti deceduti a Bergamo, 12 a Milano,
9 a Cremona, 5 a Lodi, 3 a Brescia. Missionari, parroci, segretari di qualche
monsignore, consacrati che insegnavano presso scuole cattoliche: il Covid-19
non fa differenza.
Gandalf, il più
spirituale dei personaggi creati dal cattolicissimo Tolkien, nel Signore degli
Anelli afferma che "la morte è solo un'altra via". Quella che prima o
poi saremo costretti tutti ad imboccare. I preti credono davvero che ci si
possa vedere tutti "di là". E il Covid-19, contro la fede, nulla può.
Avvenire 4 aprile 2020 -
Marina Corradi
L’ultimo saluto di don Cirillo, con respiratore e rosario
IL CORAGGIO DI DIRE CHE CI RIVEDREMO DI LÀ
«Ci vediamo di là». Così è morto di Covid
don Cirillo Longo, 95 anni, fondatore del Centro Don Orione di Bergamo.
L’ultima foto lo mostra con il respiratore sul volto e il rosario sulla spalla
– come i braccianti una volta portavano la zappa, nel rientrare a casa, la
sera. «Ci vediamo di là. Non abbiate paura, perché siamo tutti nelle mani di
Dio». Sembrano le parole di un vecchio generale a un esercito scompaginato e
spaurito. Perché in realtà quanti, fra noi credenti, hanno forte in sé una tale
certezza? Si diceva fino a un mese fa che la morte era la grande censurata del
nostro tempo. Ora che lei si è fatta avanti così brutalmente, ineludibile in
ogni immagine dei telegiornali, ciò che è ancora rimosso sembra la speranza
cristiana in un’altra vita, oltre la morte.
La vita eterna, espressione quasi impronunciabile fra noi.
Quasi fosse una fiaba, di cui un po’ ci si vergogna. Chi è sotto lo schiaffo
cocente di un lutto, certo, cristiano o anche per niente, non può non farsi una
domanda: mia madre, mio fratello, li rivedrò? E decine di migliaia di persone,
colpite anche magari all’improvviso, dentro una vita tesa a tutt’altro, questa
domanda se la stanno ponendo. Tra sé: quasi non osando darle voce. Ha
un’apparenza così spaventevole, la morte: è mani amate e ora fredde, è una bara
che viene chiusa, è una lapide di marmo. E il nome scolpito sopra, sembra già
irrimediabilmente lontano.
Ci vuole un coraggio forse non nostro, un coraggio che
bisogna chiedere, per dirsi, e dire all’altro, che questa apparenza algida e
spietatamente concreta non è, tuttavia, l’ultima verità. È, sì, un muro
altissimo, che ci impedisce di vedere oltre. Ma oltre, ci è stato promesso, non
c’è il nulla. «Oggi sarai con me in Paradiso», si sente dire Barabba – Barabba
il ladro, Barabba, il peggiore. Non dobbiamo credere a quello che Cristo dice
dalla Croce?
Eppure, una stratificazione secolare di positivismo e
materialismo e distrazione ci rendono faticoso fidarci davvero di questa
promessa. Poi, forse, non ci si pensa davvero. Finché la morte non ci colpisce
col suo schiaffo. Ricordo un figlio adolescente, la notte dopo che era
scomparso un nonno: «Non è possibile, non può essere, che lui non ci sia più».
E allora assistetti a una strana reazione, quasi non mia, tanto era il
desiderio di giurare a quel figlio che non finiamo nel nulla, e che ognuno di
noi è caro a Dio. Con una sicurezza che normalmente non possedevo gli dissi che
io ero assolutamente certa: il nonno viveva, e un giorno lo avrebbe ritrovato.
Mi stupì molto, questo improvviso, quasi ferino sussulto di forza e fede, come
fosse un dono. Bisogna domandarlo, questo dono, questa certezza.
Altrimenti, con quali parole stare davanti a chi sa di
essere incalzato dalla morte, o a chi dopo cinquant’anni di matrimonio si
ritrova solo, e quasi orfano, come un bambino? Noi ci ritroveremo ancora
insieme. Non possiamo credere in Cristo, e non credere nella sua promessa dalla
Croce. Bisogna osare questa speranza, tanto più l’apparenza livida della morte
ci si innalza davanti, alta come un’onda mai vista.
Bisogna dirlo ai lontani, ai distratti, ai soli. Quella
lapide non è l’ultima parola: altrimenti la nostra speranza sarebbe vana, e
davvero, come scrive Paolo ai Corinzi, saremmo «i più infelici degli uomini».
Ma nessun volto, nella misericordia di Dio, andrà perduto. «Non abbiate paura.
Ci vediamo di là», ci ha detto un prete quasi centenario, che nell’ultima foto
sorride, come un soldato che ha combattuto la buona battaglia. È questa,
l’ultima parola.
Giornale di Seregno
Seregno, 24 marzo 2020
Don Cirillo Longo
Al Don Orione cordoglio per l’ex direttore
Nella tarda serata di giovedì è mancato don Cirillo Longo (nella
foto), sacerdote orionino noto in città per essere
stato il direttore del Piccolo Cottolengo di via Verdi dal 2005 al 2008.
Un passaggio relativamente breve che, tuttavia, ha lasciato una traccia
importante. Perché l’anziano sacerdote - classe 1925 - aveva assunto l’incarico
all’età di ottant’anni compiuti, assumendo su di sé l’onere di completare le
importanti opere di ristrutturazione edilizia e organizzativa della residenza
per anziani e disabili. Interventi avviati dal suo predecessore, don Nello
Tombacco. Un compito oneroso che il sacerdote aveva assolto con grande
dedizione e una spiccata umanità. Era un uomo pragmatico, di poche parole ma di
frequenti sorrisi: padovano di nascita e discepolo diretto di san Luigi
Orione, al quale aveva più volte servito Messa come chierichetto.
La vita sacerdotale di con Cirillo Longo è stata densa di momenti
importanti. In particolare aveva intrattenuto contatti con il clero polacco
negli anni della Guerra Fredda e uno dei primi messaggi
di cordoglio è arrivato proprio dalla Polonia. A lui si deve la
fondazione del centro per malati in stato neurovegetativo di Bergamo, una delle
realtà all’avanguardia in Italia.
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