Cameroun 30 maggio 2001  

Qui la vita scorre regolata su modelli e valori non riconducibili alle nostre esperienze,

con tempi e ritmi totalmente estranei alla nostra civiltà.

 

Casella di testo: Avere un sogno……….
 ………ed insieme poterlo realizzare

 

 

 
Il sogno che si realizza...  foto 1    foto 2   foto 3   foto 4

W E S T  -  A F R I C A

In pochi giorni ho visto tante infezioni delle ossa, quante si può dire non ne ho viste negli ultimi dieci anni della mia carriera ospedaliera e purtroppo sono quasi tutti adolescenti. Cito soltanto un esempio: una bellissima bambina di circa dodici anni già disarticolata dell’arto superiore sinistro, con una tremenda infezione al femore ed alla tibia, resistente a tutti gli antibiotici con rigidità in flessione del ginocchio, ipertermia, stato tossico generale. I medici discutono e mi chiedono se conviene tentare di  salvarle la vita amputando l’arto inferiore subito o attendere... e sperare... “in che cosa?” anche i parenti l’hanno abbandonata,  “che posso fare, che cosa posso consigliare ?... ”

Soffrire con dignità. Non ho sentito nessuno gridare, piangere, disperarsi . La loro sofferenza si legge negli occhi , grandi , vuoti, a volte spenti a volte vivi, sembra che parlino.

Quello che conta è la prima impressione, perché poi ci si abitua e quasi tutte le brutture che si vedono sembrano essere la norma  e a poco a poco scompaiono.

Le incubatrici sono l’esempio eclatante della condizione sanitaria locale. Tutte le madri occidentali dovrebbero vedere con i loro occhi le condizioni in cui vivono quei piccini inermi rinchiusi in cassette di legno con una piccola finestra, per riscaldamento una lampadina e per giaciglio un materassino, forse in plastica. Vi viene subito da pensare alle conigliere dopo il parto della coniglia. Nella stanza fa un caldo infernale, sembra di stare in una serra .

Si arriva in questi luoghi, spinti non da una sola motivazione ma da diverse e le più disparate. Voglia di ..... voglia di ....... non sto qui a soffermarmi su questo, cadrei nel filosofico-social-speculativo e credo che non sia il caso.

Arrivati, dopo qualche giorno la prima domanda che ci poniamo è : “è reale tutto quello che sto vivendo? E se si, io fino ad ora dove e come ho vissuto?  Ho vergogna di essermi lamentato, di aver creduto in alcuni momenti di essere la persona più infelice del mondo. Senza veri termini di paragone non mi sono accorto di nulla, ho confuso la felicità con l’infelicità, il dolore con il piacere. Ho tenuto distinte solo la vita e la morte. Qui nemmeno questo è possibile .

Quante volte mi sono chiesto: “a che pensa quella persona seduta in penombra al margine di una polverosa, assolata, rumorosa strada, con lo sguardo fisso nel vuoto .” L’umidità è opprimente, il caldo mi soffoca, chiedo stupidamente: “come si va?” mi guarda e abbozzando un flebile sorriso mi risponde piano: “si va bene”. E’ possibile, senza passato, senza presente e senza futuro.

E’ facile cadere nel retorico parlando di queste cose ma ditemi, la parola miseria è retorica? La parola dolore è retorica? E che significa retorica, forse sapere o credere di sapere per poi fare finta di nulla ?

Una cosa che ci distingue ( noi Europei da loro Africani) è il tempo.  Ho l’impressione che per loro il tempo non esista. Ci vediamo tra un’ora, fra due ore, fra cinque... è lo stesso . Intanto il sole sorgerà sempre e poi verrà la notte.

In una chiesetta protestante, gremita fino all’inverosimile ma con gente ordinatissima, ho assistito ad un rito religioso domenicale. Si prega cantando e ritmando con il corpo. La partecipazione è totale: si partecipa con l’anima e con il corpo. Ho e porterò per sempre dentro di me le parole cantate sussurrando: “ ... dans  la vie tout pass tout s’en va”  Tutto è rassegnazione.

Siamo andati io e la moglie del direttore dell’Ospedale a trovare, è forma di rispetto dovuta, il capo tradizionale, o “fon” tra i Bamileke, il quale possiede ancora oggi una riconosciuta ed importante autorità religiosa e spirituale. Dopo le formalità di rito siamo stati ricevuti. Abbiamo attraversato alcune stanze colme di statue, maschere e armi tradizionali coperte da un abbondante strato di polvere. Ci attendeva in una sala rotonda  seduto, direi quasi sdraiato su di una grossa poltrona che ben mostrava gli anni che aveva . Terrorizzato ho notato, pressappoco vicino alla sua testa una nuvola di zanzare, la mia prima idea è stata quella di fuggire, ma ....  Il sultano, persona degna di tutto rispetto, affabile e quasi sorridente, seppure nel suo misurato distacco , in un ottimo e musicale francese mi ha domandato quale fosse il motivo del mio soggiorno in Cameroun  e specialmente presso l’Ospedale . Alla mia spiegazione si è mostrato molto contento e con dignità mi ha parlato della secolare miseria nella quale vivono, senza far commenti, e della assoluta necessità di una sanità migliore. Mi ha invitato a visitare la sua casa, parte della quale ha trasformato in un museo etnologico per poter trarne qualche profitto, tranne le capanne nelle quali alloggiano le sue donne. Preciso, al momento ne nutre (si fa per dire) e mantiene 63 , avendo egli ereditato 43 mogli dai suoi parenti più stretti (fratelli e nipoti) morti. In verità egli ha solo 23 mogli dalle quali ha avuto una quarantina di figli . E pensare che credevo che la poligamia fosse una leggenda . Ecco la contraddizione in termini, poveri, senza sanità, senza nulla  ma con 63  mogli da mantenere.

Sono le 19.30, mi vengono a chiamare un gruppo di persone, sono tutti armati. Mi spiegano in un concitato ed approssimativo francese che una suora cattolica missionaria che abita ad una ventina di chilometri nella savana ha urgente bisogno che io visti una persona che vive nella missione. Mi preparo in tutta fretta, saliamo sulla solita sgangherata Toyota e partiamo. Durante il tragitto la mia compagnia armata non cessa di ridere ad ogni sobbalzo della macchina. Rivolto a quello che mi sembra il più importante gli chiedo il perché delle armi. Mi risponde seccamente: “banditi”. Giunti alla missione cattolica mi riceve una donna gracile quasi trasparente . Di lei sono visibili solo le ossa , i tendini e gli occhi, furbi, svegli. Senza tanti preamboli mi dice di chiamarsi Maria, di essere una sorella laica e che vive in Cameroun  da 34 anni. Per 24 anni ha curato lebbrosi , ed ora che la lebbra è stata quasi debellata totalmente si dedica alla cura dei malati di Aids , quelli terminali. Mi chiede cosa sia venuto a fare in Cameroun. Ha sentito dire che sono ortopedico e deve farmi vedere un suo vecchio amico che soffre molto con le ossa. La seguo in una camera di un padiglione adiacente a quello in cui sono stato ricevuto  e che ospita un anziano.  Sdraiato su di un letto, immobile, mi guarda senza dire nulla ( in Africa a chi soffre rimangono solo gli occhi). La missionaria mi mostra alcune radiografie. Le ossa sembrano state crivellate.  Non  vedo un solo osso sano, e rivolto alla Suora le dico piano: “nulla da fare e nulla da dire”  “lo sapevo già”,  risponde, “andiamo”. Mi racconta la sua storia, a flash , mi dice che è uguale a quella di tutte le persone che hanno scelto di fare nella vita quello che lei ha scelto. Poi con uno sprazzo di orgoglio mi invita a visitare la sua piccola opera, il suo centro per la raccolta dei malati terminali di Aids, alla periferia della città. Le prometto di andarci.   Mi chiede se voglio passare la notte lì o ritornare in Ospedale, in quanto la strada è lunga e può essere pericolosa a  causa dei banditi. Preferisco tornare. Vorrei sapere qui che cosa non è pericoloso. Ci salutiamo:  “ arrivederci, non ti arrendere,  c’è bisogno di ortopedici, non vedi quanti storpi , specie bambini “ rispondo “arrivederci , non lo faccia soffrire, non è giusto “ “ho pensato di portarlo in ospedale , ma credo che sia peggio,  che dici?” “dico che ti voglio bene “ non mi ha sentito .

Alle 8.00 il dottore L. mi passa a prendere e ci incamminiamo lungo il sentiero che ci porta in Ospedale. Cosa si intende qui per Ospedale? E’ difficile capirlo se non lo si vede .  Cercherò di descrivere quello in cui  lavoro.

Un insieme di capannoni separati l’uno dall’altro, distribuiti su di una zona abbastanza vasta e collegati tra loro da stradine in terra battuta, al lato delle quali scorrono canali abbastanza profondi che servono per lo scarico delle acque durante i frequenti temporali e come fogne a cielo aperto . Ogni capannone è formato da due file di  stanze , una dietro all’altra separate da un corridoio centrale. Ogni stanza è aperta sulla strada e sul corridoio centrale. Provate a pensare ad una stalla e ne avrete un‘idea. Mi vergogno di fare questi paragoni ma credetemi, è purtroppo così. Le stanze sono piene di letti in una ne ho contati dodici , ed i letti  sono pieni di gente, uomini, donne e bambini. A volte si confondono i malati dai sani eppure vi è silenzio. Se qualcuno parla lo fa sottovoce, nessuno si lamenta gridando, nessuno piange. Il pavimento è in cemento con buche dappertutto. Il personale parasanitario lo lava continuamente, aggiungendo acqua su acqua, pozzanghera su pozzanghera. Il caldo è soffocante. I malati non possiedono nulla tranne i pochi stracci che indossano e per il vitto sono lasciati alla bontà dei parenti che li hanno accompagnati e che cucinano all’aperto sotto una tettoia affumicata. Mangiano con le mani e quelli che non ce la fanno vengono imboccati ugualmente solo con le mani. Ho visto alcune stoviglie, ma non ne ho visto il loro uso. Alcuni pazienti non vogliono più andare via , dicono di trovarsi bene .... figuriamoci la loro abitazione . Eppure pagano, qui tutto si paga. Il medico fa la visita e prescrive gli accertamenti e le medicine. I familiari del paziente vanno prima alla cassa a munirsi dello scontrino , poi al laboratorio, in radiologia e in farmacia per ottenere ciò che il medico ha prescritto . E chi non ha soldi? E sono la maggioranza. Si aspetta, si contratta, si suddivide la somma in piccole parti. Quando si paga si paga a rate  per dirla in breve o ...... si può anche morire nell’attesa. “E’ assurdo” mi sono detto, “qui se non si hanno i soldi si rischia di morire, anzi si muore”. Ho constatato con i miei occhi quello che sto raccontando. Ma a ben pensarci, in fondo come potrebbero sopravvivere gli ospedali senza alcun introito, se il governo centrale non interviene assolutamente in niente, in campo sanitario sia nel pubblico che nel privato? C’è da impazzire, da dare la testa nel muro. Ogni tanto arriva qualche goccia di speranza e mi riferisco agli aiuti umanitari. E’ inutile discutere, cercare di farsi una ragione per non contribuire, lavarsi le mani e la coscienza , parlare in politichese e citare teorie sociologiche , qui i bambini muoiono per una banalissima infezione, questa è la realtà.  Nel terzo millennio molti bambini hanno ancora la  pancia piena di vermi e sono convinto che chi crede che gli aiuti non servono o non ha capito nulla o non vuole capire nulla. Il progresso avanza comunque, la polio è stata debellata . Quel bambino che salviamo oggi potrebbe essere lui stesso il salvatore di domani se avrà preso coscienza  della realtà che lo circonda.

Il viaggio Bafoussam-Douala è in fin dei conti piacevole, ci vogliono circa quattro ore in macchina. Si viaggia su una strada larga e ben asfaltata . Ho paragonato questa strada ad un fiume che scorre, sulle sponde del quale si affacciano una miriade di casupole costruite in mattoni di  terra rossa. Intorno a queste povere abitazioni  molti bambini, semi vestiti, giocano incuranti del caldo e delle mosche. Vecchietti seduti, immobili, si confondono con la ricca vegetazione che li circonda. Ogni tanto queste casette si raggruppano a formare un villaggio ed è subito mercato, in qualunque ora del giorno. Movimento dappertutto, si parla ad alta voce, si gesticola, e specialmente si contratta. E’ il loro gioco preferito contrattare. Ma gli articoli contrattati sono ben misera cosa.

Al margine della strada è un continuo incontrare gente in cammino, al mattino, di giorno, di notte, sempre. Qui si cammina sempre, non ho mai visto tanta gente in movimento , di tutte le età . Quelle che colpiscono di più sono le giovinette di 14, 15 anni , camminano portando in testa fascine di legno con un incedere così elegante che sembrano piccole modelle in sfilata.

Ogni tanto si incontra un posto dove si paga il pedaggio, infatti qui ogni cosa ha il suo prezzo, si paga tutto, anzi si dovrebbe ma.... Racconto un piccolo episodio a riguardo. Mi ero fermato per fotografare un monte, il cosiddetto monte “dei gorilla” (se vi abitano veramente codeste creature, a dire il vero, non lo so), quando mi si avvicinano due  giovanotti  che con fare convinto e convincente, mi fanno capire che per fotografare il paesaggio devo pagare. Non discuto , qui discutere è inutile, si perde solo tempo. Do loro qualche spicciolo , mi salutano contenti e si allontanano contenti. Che tenerezza mi fanno.

Il posto dove si paga il pedaggio è  un vero e proprio mercato. Si è assaliti e circondati da uno sciame di venditori, per lo più bambini che offrono le loro mercanzie , frutta in sacchetti di plastica . Ti guardano , ti implorano, pur sapendo che noi non compreremo nulla . Vorrei poter regalare loro qualche cosa, ma è impossibile, sono troppi e qualunque gesto caritatevole scatenerebbe tra loro il finimondo. Si paga e si riparte.

Altra sosta lunga, a volte penosa, avviene se avete la sventura di essere fermati da una delle numerose pattuglie della polizia. Non vi fermeranno mai per aver violato qualche articolo del codice stradale,  che non so se esista, ma solo per un controllo generale. Qui si dimostrerà tutta la vostra capacità di autocontrollo, la vostra conoscenza e il vostro amore per l’Africa. Il solo controllo del passaporto dura dai dieci  ai  quindici minuti. Lo guardano, lo studiano, lo rigirano da tutte le parti cercando chissà che cosa, poi alla fine dicono: “non c’è il permesso di  soggiorno, questo è molto grave”.  Allora con tanta pazienza  fate vedere la pagina con il grosso timbro rilasciato dal Consolato del Cameroun in Italia dove è chiaramente scritto quello che concerne il vostro ingresso, il periodo di validità ed il visto consolare. Verrà allora chiamato il capo posto che dopo aver discusso lungamente e concitatamente con il sottoposto ricontrollerà nuovamente il passaporto. Il caldo si fa sempre più opprimente e ciò che è peggio si incominciano ad intravedere le zanzare. La guardia torna da voi  e senza consegnare il passaporto ripete: “non c’è il permesso di soggiorno, ciò è molto grave” punto e a capo.

Finalmente si decide ad intervenire l’autista, scende dalla macchina, discute, vedo che paga qualcosa e come vuole il  Signore si riparte.

La strada si snoda e scende giù verso la costa. Si passa dall’altopiano a circa 1.500 metri sul livello del mare fino all’inferno, intendo , si arriva a Douala . Della città parlerò in seguito, dirò poco , perché poco conosco . Il caldo e l’umidità sono elevatissimi e ti tolgono il respiro. La prima sensazione di malessere si avverte lungo gli arti inferiori,  sembra che il caldo salga dal basso.

Alle 18.20 cade la notte. All’improvviso, in pochi minuti si passa dalla luce all’oscurità . Ma a differenza del passaggio biologico fra la vita (luce, rumore) e la morte (tenebre e silenzio) qui si avverte la rinascita di una nuova vita. L’apparente silenzio è a poco a poco riempito da rumori , un altro mondo si risveglia , incomincia ad agitarsi , incomincia a muoversi ed inizia la lotta naturale per la sopravvivenza. Gli insetti, milioni, rompono in poco tempo, con i loro canti più diversi, il silenzio  e di tanto in tanto rumori più  profondi,  indistinguibili,  forse richiami di  animali più grandi in caccia o in amore ci fanno sentire quali siamo, piccoli e spaventati. Qui di notte ogni piccolo rumore si ingigantisce, ecco che riappare la nostra paura atavica, le nostre paure ancestrali riemergono dal profondo del nostro essere  ed eccoci pronti alla fuga, sempre all’erta. Da lontano sembra arrivare il suono di un tamburo , di un tam-tam. E’ mai possibile mi chiedo, siamo nel terzo millennio. In altri Paesi a quest’ora le grandi metropoli sfavillano di milioni di luci, oppure cominciano un nuovo giorno con l’assordante suono dei clacson. E qui, ora lo sento bene, è inequivocabilmente il suono di un tam-tam lontano, chissà dove, intorno ad un fuoco qualcuno festeggia qualche avvenimento oppure invia qualche messaggio. Questo messaggio mi è giunto, è giunto alla mia anima attraversando centinaia di anni del mio più antico essere.

So di raccontare cose già scritte e riscritte, dette e ridette, ma fa lo stesso, le scrivo a me stesso. Sono piccole annotazioni che forse non rileggerò mai ma che in questo momento mi fanno compagnia. Sono solo ed invece di pensare, o peggio di parlare ad alta voce con me stesso scrivo e nel rileggere non mi sento più solo.  Questo non è un diario. Ho sempre detestato i diari, non ho mai posseduto un diario, nemmeno quello scolastico  che preferivo tenesse mio fratello. Quello che scrivo sono considerazioni professionali su questo particolare momento della mia vita. Considerazioni alle quali si può dare il valore che ognuno vuole. Non pretendo certamente di essere un profondo conoscitore di questi luoghi dove sto vivendo questa mia esperienza. Ci vorrebbe una  vita. Ma forse un giorno rileggendo queste poche righe, troverò qualche cosa di me stesso , quel “qualche cosa” che sto cercando da anni e che mi ha spinto a ritornare in Africa.

Il progetto che ho intenzione di realizzare qui in Cameroun è estremamente semplice. Vorrei ristrutturare due padiglioni dell’Ospedale di Mbouo per potervi inserire all’interno cinque stanze di degenza con rispettive toilettes, una stanza studio per i medici, una per gli  infermieri, una sala ambulatorio e gessi, una piccola sala operatoria e due stanze deposito. All’esterno del padiglione dovranno essere allocati una cucina, una piccola sala d’aspetto con relativo servizio igienico e una lavanderia. 

Come si può vedere dalle fotografie i padiglioni messi a disposizione  sono in uno stato di completo abbandono che solo un giudizio tecnico potrà dire se sarà meglio ristrutturare o demolire e recuperare il recuperabile per ricostruire. La struttura dovrà essere funzionale e facilmente gestibile , conforme alle abitudini della gente che dovrà usufruirne ed inserita nel complesso ospedaliero già esistente.

Bisognerà tener conto di tanti fattori umani primo fra tutti quello della famiglia, qui intesa come gruppo inscindibile. Quando si ammala il padre, è tutta la famiglia che si ammala; benchè molte cose pare stiano cambiando ci vorrà ancora del tempo perché le persone di livello culturale medio-basso, che rappresentano, quasi la totalità riescano a staccarsi da millenarie tradizioni.

Ogni malato riceve il cibo cucinato dai suoi familiari  in grandi cucine comuni all’aperto. Chiamarle cucine è improprio. Infatti si tratta di focolai fatti di pietre e raggruppati sotto una tettoia. Ognuno porta la legna ed il tegame da casa. Dopo il modesto pasto si lava il tutto all’aperto e si lascia asciugare al sole. Mangiano specialmente un impasto di   mais e di legumi vari. Mosche e formiche si aggirano a frotte.

Medici ed infermieri sono abbastanza bravi , alcuni anche preparati. Riescono a svolgere il loro ruolo con dignità e specialmente coraggio. Nelle loro condizioni, senza ausili diagnostici  riescono a mio parere a fare il quaranta - cinquanta per cento di diagnosi esatte e credetemi è tanto . Se si tratta di malattie tropicali è difficile che sbaglino, gli basta guardare il paziente in faccia . Questo piccolo reparto ortopedico deve essere fatto. Non è possibile nemmeno lontanamente immaginare quanto possa essere utile e di stimolo per fare sempre meglio. Le persone, specie i bambini che sono la maggioranza , per una semplice frattura possono rimanere invalidi per tutta la vita se gli va bene, oppure morire quando sorge qualche piccola complicanza di tipo infiammatorio.

Potrei narrare decine di storie, di fatti  che ho vissuto personalmente, di cose che ho visto con i miei occhi e che si sono impresse nella mia mente in modo indelebile, ma credo di aver già reso a sufficienza, per chi vuol capire, l’estrema esigenza di agire nel più breve tempo possibile. Quelle persone ammalate non possono aspettare, quei poveri piccini non ce la fanno più. Ogni mattone che riusciremo a mettere sarà un bambino in più che vivrà .

E’ venuto a trovarmi un italiano che abita da queste parti da circa cinque anni. Veneto , molto loquace, bell’uomo ex giocatore di rugby. E’ direttore tecnico del più grande stabilimento di produzione di polli e uova , mi dice di tutto il West Africa. Ha saputo del mio arrivo da un suo autista che ha avuto bisogno di me per una frattura al polso. Dopo i convenevoli d’uso affrontiamo subito il problema principale, l’Africa. Non vedo l’ora di farmi raccontare, da chi ormai vive qui da anni, tutto ciò che da giorni mi assilla e che non riesco a spiegare. Sono un fiume in piena , gli domando di tutto: cucina, sesso, usanze, religione. Mi guarda negli occhi e mi risponde sempre iniziando il discorso in questa maniera:” guarda, qui può succedere di tutto, qui è vero tutto ed il contrario di tutto. Qui non devi meravigliarti di nulla. Non esiste il buono, il cattivo, il bene, il male, è così credimi. Chi non ha niente possiede tutto, è questa una regola mondiale, è una massima che vale dappertutto, ma specialmente qui in Africa. Dicono i più colti che noi deportavamo i loro avi per venderli come schiavi. Ebbene ora la schiavitù in quasi tutto il mondo non esiste più. Ho detto quasi, perché qui esiste e lo puoi constatare giornalmente con i tuoi occhi. In qualunque casa che abbia anche un solo piccolo reddito che supera la media  esiste un cuoco, un guardiano autista, un giardiniere. Non vedi come sono trattati, con quale arroganza specie dalle padrone.  Il padrone non li guarda nemmeno, si limita a disprezzarli . Sono quasi tutti razzisti e schiavisti (sono parole dell’amico italiano che mi limito a riportare senza commenti)  “forse è un retaggio della vecchia colonizzazione” dico io “non credo” mi risponde. Alcuni vecchi rimpiangono i padroni bianchi: “allora si che si stava bene.” D’altra parte tutti qui lo ammettono, gli schiavi erano venduti ai negrieri dai loro capi, specialmente perché erano in soprannumero ed il cibo scarseggiava. In effetti si dice che nessun grande capo sia stato mai tradotto in schiavitù.” Credo che solo qui si possa ragionare in questo modo, ma devo ammettere che un piccolo, piccolo fondo di verità possa esistere. Che ci sia la schiavitù, se schiavitù significa prevaricazione, annullamento della personalità e dei diritti del singolo, l’ho constatato giornalmente. Chi percepisce una paga è sottomesso quasi totalmente al datore di lavoro e questo è accettato da tutti (quasi tutti mi viene da credere)  Infrangere la teoria dei ruoli, sovvertire l’ordine dell’universo e questo è il peccato più grave. Sembra strano ma è così, più tratti male una persona a te vicino e più sei considerato un uomo o una donna importante. La maggior parte della gente ha il terrore della polizia o di chiunque vesta una divisa. Ho visto uomini terrorizzati incapaci di profferire parola davanti ad una semplice richiesta di documenti da parte di una guardia qualunque. Ad un blocco stradale se alzi la voce, se hai il coraggio di alzare la voce, novantanove volte su cento ti lasciano subito passare, però è meglio non farlo potresti essere il rimanente uno per cento ed allora sono guai seri, potrebbe partire un colpo,  anche se per lo più i fucili sono scarichi.

Caro dottore qui la vita è dura. L’Africa quella vera, quella a cinquanta metri dall’unica strada asfaltata è fatta per uomini duri , qui non si scherza volentieri , la lotta è giornaliera, si lotta sempre ed il più delle volte con nemici che non vedi . Tu lotti contro i batteri, contro i virus,  noi oltre questi anche contro nemici ancora più invisibili ... le Multinazionali. Noi siamo gli emigranti del progresso non siamo missionari, siamo i moderni conquistatori , siamo i tecnici , combattiamo sotto un’unica bandiera,  quella piccola e verde , il dollaro, come avrai ben capito.

Vedi vi è una notevole differenza fra l’Est Africa e il West Africa . Là sulle coste dell’oceano indiano, l’avanzata turistica è stata enorme. Non vi è ormai troppa differenza tra una spiaggia dell’Adriatico ed alcune località balneari del Kenia. I parchi nazionali sembrano giardini zoologici dove gli animali si fanno fotografare quasi fossero prime donne. Sembra quasi che la lingua ufficiale sia l’italiano. Il mare è invitante, il più dello volte caldo e calmo. Anche le zanzare, stordite dall’Autan e da altri prodotti sembrano rimbambite e più buone.

Qui no. Guardi la costa per esempio, non vedrà le belle spiagge contornate da banani ed alberi di cocco, ma zone  paludose piene di mangrovie, specialmente sull’estuario dei fiumi. Fiumi enormi che riversano nell’oceano milioni di tonnellate di fango, che rendono le acque per molte miglia scure, di un colore marrone chiaro, Sott’ acqua non si vede nulla alla distanza di  dieci centimetri dal proprio naso . Il mare è continuamente agitato ed i poveri pescatori lottano ogni giorno con l’onda lunga e spesso qualcuno muore. E’ il tributo che devono pagare, lo sanno ma continuano, devono pur sempre sopravvivere.

Qui, e credo di non esagerare, ogni giorno si rischia la pelle, non bisogna mai abbassare la guardia, sotto ogni pietra può nascondersi un pericolo mortale, come anche sui rami. Una semplice puntura di zanzara, se non si è ben cautelati può essere fatale. E poi, sai meglio di me, TBC , meningite, decine di forme strane di malattie tropicali sono all’ordine del giorno. Per non parlare dell’Aids. Sarebbe troppo lungo. Un solo esempio vale per tutti circa la prevenzione. Il governo ha distribuito, a pagamento si intende, migliaia di preservativi. Il mio autista alla domanda se lo usasse, mi ha risposto con angelico candore che gli hanno detto che per essere protetti basta tenerlo in tasca e così tutti i suoi amici seguono scrupolosamente questa misura di profilassi. Mi dice inoltre che nella maggior parte delle donne suscita grande ilarità il vedere un pene vestito,  con conseguenza caduta di pressione dell’uomo ed interruzione del rapporto. Se la fame prende il sopravvento si continua a ..... mani nude, alla faccia dell’Aids. Sembra proprio che nulla sia preso sul serio, per fortuna quasi sempre tutto finisce con una risata, anche se amara. “Così va il mondo”

          L’amico qui conosciuto, si accompagna come quasi tutti gli stranieri che vivono qui soli , con una bellissima giovane locale, penso che quasi tutte le indossatrici la invidierebbero. Inutile descriverla, non ne sarei capace. Mi rivolgo a lei  che,  giovane e culturalmente  preparata, dice di aver studiato a Parigi, penso possa rispondermi con sincerità circa una questione dibattuta  una sera tra noi Europei e cioè:  “è vero che le donne west africane non si innamorano mai? E chi, specie tra gli uomini bianchi, ha la disgrazia di perdere la testa per una di queste beltà nere, immancabilmente finirà male i suoi giorni?” Mi risponde senza esitazione: “può essere vero, ma vi sono moltissime ragioni perché io risponda così a ciò che tu mi chiedi. Noi donne in Africa siamo sempre state considerate meno di niente. La parola schiava, non esprime assolutamente nulla , essere schiavi è essere qualcuno, essere donna, niente. La maggior parte di noi ha conosciuto l’uomo, chiunque esso sia, parente, conoscente, straniero, in giovanissima età, subendo sempre una violenza fisica. Il sesso per noi comincia con il dolore e finisce nel momento del parto con il dolore. Da piccola ho sentito che chi  mi penetrava a volte si lamentava e ho creduto, contenta, che anche lui soffrisse. Perché dovrebbe esistere quello che voi chiamate amore. Chi ti vuole bene lo dimostra facendoti vivere nell’eleganza, in una casa pulita, senza farti mancare nulla e tu lo ripaghi con il tuo corpo e anche con il tuo affetto.  Questo è l’amore”.

          Guardo il mio amico italiano, lui mi capisce e  mi sussurra: “meglio così, niente complicazioni. Però attento, se capiscono che sei cotto non solo lei ma anche tutti i suoi partenti ti saltano addosso e ti spellano vivo, ti riducono sul lastrico. Senti a me, se ti dovesse capitare, caro il mio missionario, non si sa mai, fai come i loro uomini, ogni tanto dalle un calcio nel culo, anche se è il più bel culo del mondo.”

          La vita in Ospedale si fa sempre più dura . L’Ospedale può ospitare fino a duecentocinquanta persone, generalmente ne sono ricoverate più di trecento.

Alcune stanze sono piene fino all’inverosimile e si fa fatica a distinguere i sani dai malati. . Eppure sono tutti schedati con una loro piccola cartella clinica che viene aggiornata puntualmente. I medici sono tre, quattro con il direttore. In più vi sono dodici infermieri capi. Sull’entrata di ogni padiglione una scritta indica, si fa per dire, quale reparto è  lì allogato. Medicina generale, chirurgia generale, maternità, pediatria,  oculistica, blocco operatorio, rianimazione e terapia intensiva e per ultimo l’isolamento. Passo ora alla spiegazione di ciò che ho scritto che potrebbe essere forviante . Quando ad esempio parlo di rianimazione e terapia intensiva non intendo ciò che ognuno di voi crede di aver capito, qui per terapia e rianimazione intensiva si intende che il malato viene visto due volte al giorno, solo guardato. D’altronde non esiste quasi mai ossigeno per tutti quelli che ne avrebbero bisogno. Non esistono sussidi animatori. Credetemi in tutto l’Ospedale e quindi in tutto il distretto (circa 800.000 persone) , vi è un solo elettrocardiografo, dono di un olandese di passaggio, con una sola pista e che penso pochi o nessuno sa fare funzionare veramente. Qui la clinica è tutto, solo con la semiotica clinica e non strumentale si fanno le diagnosi esatte, quando si fanno. Passo ora a descrivere il cosiddetto “Blocco operatorio”. Non bisogna confondere sterilità con pulizia e qui i  locali adibiti a sala operatoria sono puliti. Le finestre chiuse ermeticamente fanno si , non essendoci circolazione di aria, che la stanza diventi una specie di forno con gravi difficoltà respiratorie degli operatori e peggio ancora per gli operandi . Un giovane medico di Torino in visita, mi ha riferito di essersi sentito male . Anche io ho avuto molte volte il desiderio di lasciare tutto, di fuggire. Per fortuna sono riuscito a convincere un collega medico, che aperte o chiuse, le camere operatorie, dal punto di vista sterilità era lo stesso. Adesso le cose vanno un po’ meglio. L’equipe chirurgica è formata da tre infermieri ed un medico,  in più un infermiere funge da anestesista. Ad operare sono gli infermieri, li ho visti operare di tutto, addomi acuti, isterectomie, parti cesarei , stomaci, colecisti e quanto altro capita loro sottomano. Non so che dire , non operano male. Forse aveva ragione quel mio collega che sosteneva che per fare il chirurgo non c’era bisogno della laurea , ma bastava la conoscenza dell’anatomia, delle tecniche chirurgiche, degli strumenti  e dell’aiuto del buon Dio (al paziente). Ma che possono fare ?  Sono soli, abbandonati     sopra una nave in un mare in tempesta.  A morte sicura è meglio tentare di salvare la vita, anche a costo di un atto eroico ed il più delle volte ci riescono. Non so se definirli eroi o cosa altro. Ho chiesto a quello che chiamano anestesista  quali analisi fanno prima dell’intervento . Mi ha risposto ridendo “Non vedi tutte quelle che servono” e poi ha aggiunto “ho solo ketalar ed un po’ di idrocortisone  non ho nemmeno sempre una bombola di ossigeno piena, a volte non arriva . Laringoscopio , tubi oro-tracheali maschere, nulla di nulla, l’elettrocardiogramma, qualche volta, ma è difficile interpretare il tracciato, xgrafia del torace, l’apparecchio radiografico ha circa venti anni, non ricordo . In queste condizioni lo so che dovremmo chiudere tutto ma come si fa, i malati andrebbero incontro a morte sicura. Vedi, mio figlio l’abbiamo operato un mese fa per un’occlusione intestinale, era quasi morto. Ora l’hai visto, l’hai conosciuto, va a lavorare nei campi. E poi credi tu sei venuto ed altri come te verranno, le cose cambieranno vedrai.: “ Non so,  mi sento così stanco,  ed è così poco tempo che sto qui”. Vorrei potergli dire tutto quello che ho dentro, la rabbia, l’amarezza, la profonda tristezza e quel nodo alla gola che mi soffoca, quando vedo una persona e specialmente un  bambino soffrire, ma non  servirebbe a nulla, forse solo  a confondergli le idee. Alla televisione trasmettono dal vivo le manifestazioni per la loro festa nazionale. Il loro governo è in pompa magna..... Meglio così.

          Questo è decisamente il Paese dei controsensi . Mi spiego meglio, la terra, tranne in alcune zone, è fertilissima. Si fanno contemporaneamente sullo stesso suolo due o tre tipi di coltivazione. Il raccolto è eccellente, molti prodotti inscatolati in Europa  provengono da queste zone. La frutta, banane, mango, papaie, avocadi, ananas ed altri ancora crescono in abbondanza e costano veramente poco. Allevamenti di animali potrebbero far invidia a quelli europei. La produzione è elevata ed i costi bassi . Per non parlare delle materie prime, in testa a tutte il petrolio ed i legni pregiati . Allora perché, perché tanta miseria?  Inutile fare una analisi, in un primo momento tutte le ipotesi sembrano giuste, ma poi a conti fatti ci si ritrova punto e a capo. Sociologi ed economisti possono sbizzarrirsi ma una cosa è evidente, la miseria, intendiamoci, non la fame, la miseria intesa in tutti i sensi. Un bambino pieno di vermi intestinali, la morte di migliaia di persone per la malaria e le sue complicanze, la tubercolosi che sta ripresentandosi in modo spaventoso a causa delle abbassate capacità reattive degli organismi minati dall’Aids , vero flagello che sta decimando comunità intere, queste ed altre malattie sono quelle che intendo io per miseria. Occhi come pozzanghere, labbra grandi, chiuse, immobili, orecchie che non sentono, questa per me è la miseria. Catapecchie in mattoni rossi, con tetti di lamiera dove il sole non entra, vi entra solo il caldo e l’umido dopo la pioggia. Pioggia violenta, prepotente, questa è per me la miseria. Questa miseria si tocca, si vede, si sente. Nell’aria quell’odore acre, forte, odore di sudore misto a quello del sottobosco, ti penetra nelle narici quando ti aggiri nei mercatini affollati. Altro che il profumo dell’Africa dopo la pioggerellina  calda, apportatrice di tanto bene come descrivono molti scrittori preparati e profondi conoscitori dell’Africa.

          J.D. è il mio tutto fare da quando sono in Africa: cucina, lava, stira ed è silenzioso, parla solo se gli  si rivolge la parola. A suo modo ha dello stile. Ecco , accidenti,  che mi sento quasi un colonialista . Il suo intercalare è : “d’accord “. Il primo giorno quando mi ha portato il pranzo gli ho chiesto se voleva sedersi anche lui con me, mi ha guardato con orrore misto a non so, terrore o cos’altro, ha abbozzato un sorriso ed è scappato. Dopo qualche giorno ho capito il perché. Quello che più mi ha mandato in bestia è il fatto che lui appassionato di televisione la debba seguire solo stando in piedi ed io seduto. Ho capito che può sedersi solo in cucina e quando non visto. Ha quattro mogli e quattordici figli. Gli ho chiesto come fa a soddisfare e mantenere tutti. Mi ha risposto che sono loro a soddisfarlo e a  mantenerlo. E’ questa la cosa che i monogami non riescono a capire. Come ho sempre pensato,  Maometto è stato un grande profeta, un vero uomo, forse un po’ maschilista. Al mio chiedergli quale religione professasse mi ha risposto abbozzando un sorriso malizioso, senza specificarmi nulla, ma ha solo detto che non è islamico. Poi con voce tremante mi ha rivolto la parola: “Vous est poligame?”  Ho abbozzato anch’io un sorriso, ma solo per darmi un tono diciamo “virile”.   E’ andato in cucina tutto contento e mi ha preparato un piatto di spaghetti alla Camerunense , buonissimi e piccantissimi. Non chiedetemi la ricetta della salsa, non ne ho la minima idea , mi ha detto che l’ha inventata per me. In fondo,  pur non conoscendolo, mi sembra una brava persona. Rappresenta la tipica figura di una volta, quella che assolutamente dovrà e deve scomparire, è l’ultimo ma non l’unico retaggio rimasto di un tempo passato. Non si può però progredire senza una vera presa di coscienza della realtà che ci circonda . Cultura,   qui per me non è solo insegnare a leggere e scrivere si fa per dire, o a utilizzare il computer, è sradicare dai cromosomi quei geni che contengono quel genere di  passato che oggi rallenta il progresso. Quelli che fanno si  che queste persone facciano un passo avanti e dieci indietro.

          Caro J.D. mi sembri contento del posto che occupi in questo caledoscopio . A volte ti guardo e vorrei porti tante domande. Ma non lo faccio, tanto so già le risposte che mi daresti. Sono le risposte più semplici che una persona come te dà ai quesiti più grandi ed importanti dell’universo:  “che cosa sono quelle stelle? vedi quante? “  ”sono luci “ e  “la vita”  e “la morte” . Ti metti a ridere, scrolli la testa e continui nel tuo lavoro serale. Stai sicuramente pensando : “ che domande stupide mi fa stasera questo dottore”.

          Ho conosciuto diverse persone che abitano qui da molti anni.. Sono per lo più missionari, pastori  e suore di molte confessioni, oppure laici , che si dedicano volontariamente ad opere sociali. Vi sono anche alcuni tecnici che dirigono fabbriche , specie alimentari , o lavorano nella raccolta del legno, nella distruzione cioè di una delle risorse più importanti del paese. Ognuno di loro ha una storia alle spalle e sono una fonte inesauribile di racconti, storie vissute in prima persona o indirettamente . Sono i veri conoscitori di questi Paesi , ben s’intende, se si sa distinguere il fatto raccontato dalla interpretazione soggettiva che essi danno del fatto. Bisogna capire che, forse, nessuno di loro ha sentito parlare di Levi Strauss o di etnologia .

          Per non perderne la memoria scriverò alcune storie che mi sono state raccontate , così come da loro dette. Don A. missionario cattolico da venti anni gira questi luoghi in motocicletta , ora possiede un fuoristrada

Gagiva . Ha messo su una bella scuola e dei laboratori ove si insegnano agli handicappati diversi mestieri. Veneto, la classica figura del missionario  senza abito talare e senza peli sulla lingua . “Dottore” mi dice una sera  “tu che ti interessi di tutto, e sei medico, voglio raccontarti come hanno curato un mio , diciamo così ,  parrocchiano, uno cioè che fa finta di lavorare qui nella parrocchia che anche se da sempre ha dato i numeri in questi ultimi tempi ha esagerato. Figurati gli hanno messo in testa che tutti i suoi guai sarebbero passati se fosse riuscito a violentare una persona della sua famiglia.. Ha tentato di violentare sua madre ma sembra che non ci sia riuscito anzi i parenti, lo hanno legato, e gli hanno dato un sacco di bastonate fino a rompergli un paio di ossa. Poi sono venuti da me a chiedermi di portarlo in un posto lontano verso il  nord est, nella savana, dove vi è un guaritore di questi problemi, diciamo, per capirci, un locale  psicoanalista, che dicono fare miracoli. Mi sono lasciato convincere ed insieme ad un mio amico proprietario di una Land Rover  siamo partiti , portandoci,  insieme allo squilibrato, tre o quattro parenti del poverino come guardiani, che non lo perdevano d’occhio temendo in una sua fuga. Dopo un paio di giorni credimi, sono arrivato nell’inferno. E’ inutile descriverti il luogo ed i suoi abitanti. Immaginati un recinto largo, con grossi alberi ed in fondo una grossa e lunga capanna, costruita con i materiali del luogo e cioè mattoni rossi, sterpaglia, fango e come tetto le solite lamiere. Da questa capanna uscivano i rumori più strani, le grida più laceranti e gli odori più nauseabondi . Una persona ci è venuta incontro e con molta circospezione ci ha condotti alla presenza del guaritore. “ Papa’ le grand Apollo” questo è il nome di un uomo enorme, credo di oltre cento cinquanta chili di peso, immerso, in una grande poltrona e nel suo grasso . Mi ha chiesto il motivo della nostra visita . Date tutte le spiegazioni ha voluto vedere il paziente. Dopo averlo studiato ben bene ha sentenziato:  “Si può guarire con il mio aiuto e se  Dio vorrà. Dovete lasciarmelo qui e quando fra un mese o due mesi lo verrete a prendere sarà completamente guarito. Tornerà da voi mansueto, calmo ed ubbidiente come una piccola capretta”. Pagato l’obolo chiesto ci siamo allontanati verso la Land Rover, ma non appena la vettura si è messa in moto , ecco sopraggiungere di corsa il povero paziente , che resosi conto di dove lo avevamo condotto, aggrappato alla macchina non voleva ad ogni costo lasciarci partire senza di lui. Allora i parenti, già infuriati per aver pagato in anticipo lo psicanalista senza tanti complimenti lo hanno trascinato via, legato come un salame e consegnato a chi di dovere per le cure del caso.  Con la coda dell’occhio, mentre partivamo ho notato alcune catene vicino agli alberi nel recinto che prima ti ho detto ma ho pensato che servissero per i cani dato che qui nella savana di notte circolano anche  animali pericolosi. Non sto a raccontarti quello che ho visto in quella clinica neurologica. Se la gente, i peccatori, immaginassero così l’inferno, caro il mio dottore, si butterebbero subito nel fuoco. Molto meglio. Ogni tanto, dopo il ricovero chiedevo ai parenti sue notizie e loro mi rispondevano: “va bene”. Dopo due mesi, una mattina lo vedo arrivare accompagnato dalla vecchia madre . Dimagrito, pallido con lo sguardo spento, si è avvicinato, mi ha guardato, salutato con il solito gesto di sottomissione ed è andato a tirare via  l’erba con le mani, lungo il margine della strada che conduce alla chiesa, il suo solito lavoro. Ho chiesto alla madre come stesse ed ella mi ha risposto: “dicono e dice che è guarito, non parla quasi più ma è meglio così”. Sono venuto a sapere che la terapia era consistita nel tenerlo legato , giorno e notte ad un albero con una catena,  nel famoso recinto, per quaranta giorni sotto il sole e sotto la pioggia , se il Signore voleva che guarisse, sarebbe guarito senza alcun dubbio, altrimenti..... “ Che fine ha fatto?” gli chiedo. E’ fuggito alcune settimane fa e da allora non abbiamo più sue notizie. Capito? Se vuoi conoscere l’Africa  ora ti racconto un’altra storia, quella della donna che ha, anzi doveva partorire tre o quattro gemelli “No grazie .Per questa sera ne ho abbastanza. A proposito mi devi accompagnare dal  “Grande Papà Apollo”, voglio vedere se la sua diciamo così clinica, chissà che un giorno non possa averne bisogno anch’ io”.  “E’ abbastanza lontano ma se te la senti può valerne la pena” ha poi aggiunto:” non raccontare niente di ciò che vedi o che senti , nessuno ti crederebbe . Lì da te in Italia sono quasi tutti viaggiatori, chi di loro non ha fatto il viaggio di nozze in Kenia e ha visto i leoni e non ha da raccontare una storia? magari di una avventura con un watusso che in verità era un prestante giovanotto nero, studente alla Sorbona e senza soldi .

Oggi in Ospedale hanno portato un ferito grave per un incidente automobilistico. Privo di conoscenza viene trasportato in rianimazione. Mi mandano a chiamare. L’infermiere che è venuto a cercarmi mi dice che non c’è  fretta perché tanto il malato sta molto male. Lo guardo senza proferire parola e mi precipito lungo il sentiero che conduce all’Ospedale. Quando arrivo, il mio amico medico mi racconta l’accaduto. Il paziente respira male, è in stato precomatoso, non sento il polso e non riesco a misurargli la pressione, assenza completi di riflessi, le pupille non reagiscono alla luce. Penso ai miei amici rianimatori in Italia e mentalmente mi rivolgo a loro: “che devo fare?” bisognerebbe intubarlo ma non esiste laringoscopio,  provo a dargli un po’ di ossigeno. L’addome è trattabile ma presenta di certo una frattura del femore destro. Da alcune ferite dell’arto inferiore fuoriesce abbondante sangue, presenta inoltre un grosso ematoma in sede parietale destra . Arrivano dal laboratorio gli analisti e chiedo di praticargli tutti gli esami del caso . Gruppo sanguigno per prima cosa . Gli faccio attaccare subito  del mannitolo . Il collega ha già provveduto con i cardiocinetici e del cortisone . Deve fare assolutamente una radiografia del cranio e del torace. Smontano l’apparecchio radiografico in radiologia e lo trasformano in portatile. Dopo qualche tempo mi mostrano le radiografie, si vede una lunga frattura del parietale destro ed una frattura pluriframmentata del femore. Non è possibile distinguere nulla all’esame del torace. L’elettrocardiografo sembra impazzito, nulla a che vedere con il paziente, compaiono sul tracciato segni che possono bene essere confusi con  geroglifici  ed altri con , Dio solo lo sa. Il mio caro amico medico avanza un’ipotesi clinica ed io una certezza : “sta morendo”.  Che posso fare ? Come mi sento inutile ed incapace. Fuori nel caldo afoso un gruppo di persone donne per la maggior parte e bambini attende in silenzio. Mi guardano sperando in qualche cosa di più. Ritorno nel reparto, sono arrivati gli esami del laboratorio, non dicono nulla di particolare. Non vi sono segni di grossa anemia. Tutto il male è racchiuso nella scatola cranica. Ritorno nella stanza dei medici  e mi riposo un po’. Una specie di sonnolenza mi pervade, mi accorgo di avere le mani sporche di sangue, mi lavo e le lascio asciugare al sole. Dopo non so quanto tempo, alcuni singhiozzi ed uno strano lamento di donne, triste , disperato, mi annunciano ciò che aspettavo. Tutto si è compiuto. Mi faccio coraggio e entro nella stanza , un uomo grande e grosso, di una quarantina di anni sembra dormire. Ha ancora gli occhi aperti, sono fissi in quelli di Dio.

Ciò che scrivo non ha un filo conduttore, ma tutto è improntato sulla verità , scrivo ciò che ho visto e ciò che ho sentito dire da persone degne di fede. Mi sono ripromesso di non fare critiche ma solo considerazioni.

Oggi 24 maggio , sono le 16.30 circa , mi vengono a chiamare e mi dicono di fare presto, perché è arrivata una bambina alla quale, riferisco alla lettera: “è caduta una mano”. Mi precipito verso l’Ospedale ed appena giunto mi si presenta davanti uno spettacolo tremendo. Una piccina di circa dodici anni stesa sopra una barella si regge il moncone dell’avambraccio, che cola sangue. Un fazzoletto è legato stretto al braccio. La sala operatoria non è pronta , stanno finendo di operare un altro paziente. Mi faccio portare velocemente la cassetta che contiene i ferri del pronto soccorso e tolgo il fazzoletto. Il sangue zampilla dalla radiale, che blocco subito. Mentre un’infermiera regge il moncone finisco di praticare l’emostasi. Tutto questo fra una decina di spettatori , familiari e non . La piccola che fino ad ora si è solo lamentata sotto voce,  a questo punto perde i sensi, Dio Santo, respira appena e superficialmente.  Un infermiere dice che ha perso molto sangue, la macchina con la quale è stata accompagnata è tutta sporca. Arrivano gli infermieri del laboratorio e fanno i prelievi . Mi riferiscono subito il gruppo sanguigno chiedo del padre e della madre e faccio praticare anche a loro il gruppo sanguigno. Intanto giunge di corsa il medico di guardia  con una busta di sangue , dice lui compatibile. La piccina intanto si è ripresa un pochino, le pratichiamo la trasfusione e che il Signore ce la mandi buona. Va tutto bene, dopo pochi minuti passiamo in sala operatoria, non faccio in  tempo a girarmi per dire di aspettare un po’, almeno una trentina di minuti prima di operare per vedere come la piccola reagisce e mentre restiamo in attesa delle analisi. Ma l’infermiere anestesista  mi dice : “pronto dottore la paziente dorme” vedo solo una siringa con l’ago in vena  “ho praticato anche un po’ di premedicazione con atropina e  diazepan , ho fatto bene? “ “Ma si , tutto va bene, preparate i ferri “. Non ci credo , ma penso che mi stia aiutando il Signore a completare l’operazione. Ma  no, è J. T., l’infermiere operatore, ma fa lo stesso. Guardo il moncone ricoperto, poi la fasciatura.. La bambina ha un sussulto e si risveglia . Apre gli occhi. Non ha più la mano destra , ma è viva . Che magra consolazione.

I giorni passano, con incredibile lentezza, eppure c’è molto da fare, si può dire che non ho mai un momento di tempo libero, solo la sera tardi  quando mi metto a scrivere perché il sonno tarda a venire, mi ritrovo con me stesso. Meglio così , non si ha il tempo di pensare  e pensare è  rovinarsi l’esistenza , è avere paura . Se pensi ti senti ancora più estraneo  da questi  luoghi , da questa gente . Si, se pensi hai paura, di che cosa di preciso non so dirlo , ma ti assale una sensazione strana. Ogni piccolo dolore, ogni piccola puntura , ogni starnuto  diventa un uragano che se ti lasci andare ti travolge, credetemi non esagero. Forse sono troppo ansioso , troppo epidermico . Non credo di esser pauroso . Lo sono quel tanto da essere sempre in guardia , forse, che so , non per lottare ma per fuggire . Molti stranieri mi hanno riferito di aver avuto aggressioni a scopo di rapina  nella propria abitazione, da parte di bande di ladri e che quindi sono tutti armati . Questo ha fatto sì, che essendo la mia abitazione un po’ lontana dall’Ospedale ed in mezzo ad un bosco, ogni rumore specie di notte, quando tutto si ingigantisce, mi mette in una situazione di ansia, che non mi lascia tranquillo. Ogni mattina quando mi sveglio tiro un sospiro di sollievo.

Mi ha detto un giovane missionario  francese che ho incontrato in una sperduta missione alla fine dell’altopiano dove inizia la savana: “quando da solo incominci  a pensare, “ma chi me lo ha fatto fare !”, è  venuto il momento della partenza, perché se ti metti a pregare, come ho fatto io, non parti più . Ma tu  non ti preoccupare,  sei  un tecnico non sei un missionario, non credo neanche che tu sappia pregare, parti pure quando vuoi , pensa però che anche la tua può essere una piccola prova alla quale senza che tu lo sappia qualcuno ti ha sottoposto”.  Caro Padre M. ti invidio, quanto ti sono lontano , nello spazio e nel tempo . Mi guardi sorridente , quante cose sai di me , pur non conoscendomi , lo leggo nei tuoi occhi . Vorrei spiegarti , vorrei .... ma che importa tanto tu sai già tutto .

Un fatto mi ha sorpreso fra tanti. Non ho visto cimiteri . Forse non ho guardato bene. Ho chiesto e mi hanno detto che in verità come li intendiamo noi non esistono e che i morti nella maggior parte dei casi vengono seppelliti vicino all’abitazione, oppure anche all’interno della casa, sotto il pavimento. Specie se è il padre, il capo famiglia e la casa non è di loro proprietà. Così facendo è difficile che possano essere sfrattati perchè è raro che qualcuno l’affitti con lo spirito del defunto che continua a convivere in quel luogo. Intorno alla testa del defunto viene passato una gancio , così dopo tre o quattro anni il cranio viene disotterrato, tirato su, ben lavato e pulito, poi con una cerimonia funebre particolare viene riposto in una alcova , chiuso in un piccolo altare vicino alla casa e degnamente riverito quale protettore. Ecco manifestarsi  il culto degli antenati .

E’ incominciata da qualche settimana la stagione delle piogge, veramente come dicono qui, la piccola stagione , perché la grande , vera stagione delle piogge inizia alla metà di giugno. Figuriamoci cosa deve essere , se questa che scaraventa a terra credo tonnellate di acqua è considerata una pioggerella . Piove a catinelle come diciamo noi, ma la gente lungo il margine della strada continua a camminare come nulla fosse. Attraverso i vetri della macchina non vedo nulla, ma l’autista ridendo mi rassicura (si fa per dire). Dice  che vede benissimo anche se i tergicristalli funzionano un colpo si e cinque no, ed io  mi raccomando allo spirito della pioggia . L’autista rispondendo ad una mia domanda mi dice:  “la gente  è contenta di lavarsi, la pioggia rinfresca la pelle  poi torna i sole ed il caldo e tutto è come prima” beati loro: Ma le strade, quelle che si dipartono dall’unica asfaltata, quelle che ti portano nella vera Africa, diventano dei pantani dove è pericoloso avventurarsi. Per alcuni mesi qui è quasi impossibile recarsi da una località all’altra con qualsiasi mezzo che non siano le gambe. Eppure a camminare nel fango credo si faccia una fatica del diavolo . Il caldo in compenso si mantiene costante, è l’umidità che aumenta tremendamente. Si fa fatica a respirare, è come trovarsi sott’acqua . Anche se siamo nella stagione delle piccole piogge, quando vado negli ambulatori periferici, che qui chiamano consultori mi sembra di diventare matto.  Il cuore faccio finta di non averlo, non ho il coraggio di sentirmi il polso e poi penso, “a quale scopo?  Che potrei fare?”. Cerco come al solito di non pensare. Passando dalla macchina al consultorio è come si mi avessero gettato un secchio di acqua tiepida in testa. Entro nella stanza visite , mi scrollo come fanno i cani bagnati. Verifico che il portafoglio ed il passaporto (bisogna sempre portarlo appresso)  non siano bagnati , anche se li ho messi in una custodia di plastica è meglio controllare. Incomincio le visite. Il primo che entra, mi spiega l’infermiera, deve avere un’ernia e si vuole operare. Penso che se è un’ernia del disco se la potrà tenere ancora per qualche decina di anni. Si abbassa il pantalone e mi mostra il suo scroto, enorme, con sopra adagiato, avete capito cosa  anche esso enorme. Non ho un attimo di esitazione e dico all’infermiera di preparare le carte per il ricovero. Il paziente mi guarda e si mette a parlare con l’infermiera, sorridono. Chiedo cosa le abbia detto: “dice che sei molto bravo e che in pochi secondi hai capito subito tutto il suo male. Bella scoperta , anche se sono ortopedico ho ancora la vista buona.

Ho fatto l’occhio in pochi giorni a diagnosticare i malati di Aids. Mi ha insegnato alcuni accorgimenti semiologici la suora che cura i terminali. “Non c’è bisogno che tu li visiti, non c’è quasi bisogno che tu li veda, devi sentirli parlare. E’ il tono della voce e qualche volta se sono abbastanza svegli,  il racconto della loro sintomatologia . Attento puoi confonderli con i sintomi del paludismo, ma il tono della voce, anche se parlano una lingua che tu non conosci ti sarà di aiuto più di ogni altra cosa.

Fuori diluvia è un muro di acqua che ti toglie il respiro . Mi hanno chiamato dall’Ospedale, è giunto un infermiere bagnato fino alle ossa che mi ha consegnato un ex foglio di carta con  sopra scritto, e chi lo sa. Gli chiedo come mai è tutto bagnato. Mi guarda e risponde: “piove” . Non so se sono io lo stupido. Mi dice che dobbiamo muoverci, tanto giunto in  Ospedale devo andare in sala operatoria e quindi mi dovrò comunque cambiare tutto. Però che logica, non ci avevo pensato. Via, stavo dicendo di corsa, mi correggo, a passo veloce . Sulla testa, ho imparato tutto da solo, mi metto una cuffia da doccia , che ho trovato in un albergo in Douala, così per lo meno i capelli restano asciutti . Mi aspettano due galantuomini che si sono aggrediti a colpi di machete, un paio di ore fa . Presentano ferite da taglio su buona parte del corpo, per fortuna loro nessun colpo e penetrato  in cavità. Le ferite più gravi sono localizzante alle mani e agli avambracci. Sdraiati su due barelle vicine, nessuna espressione particolare sul viso, sembra che tra loro non sia accaduto nulla. Sotto il primo mi dico, e penso che per tre o quattro ore non uscirò dal forno, alias camera operatoria . Ma, ecco il Paese degli imprevisti , la caposala mi fa cenno di aspettare, pare che i biricchini non abbiano i soldi per pagare. Non vogliono dare le loro generalità, che comunque daranno certamente o con le buone o con le cattive alla Polizia. Continuano a dire che non hanno soldi e che nessuno pagherà per loro. Quindi, secondo l’usanza locale, al massimo.... al massimo, gli potranno fasciare le ferite con bende usate e lavate se gli andrà bene e poi torneranno al villaggio e può darsi che gli passerà la voglia di litigare in questo modo così violento. L’infermiere che mi è venuto a chiamare si siede vicino a me e a suo modo si scusa per essere venuto a disturbarmi, :”due calci nel culo ci vorrebbero, altro che far perdere tempo ai dottori.”. Intanto quello che sembra avere avuto la peggio perde sangue da un lungo taglio sulla testa. Si volta dall’altra parte e noto che il padiglione dell’orecchio gli penzola di lato . A questo punto ordino gridando, che soldi o non soldi devono partarli in sala operatoria. Finisco di operare come avevo previsto dopo circa un paio di ore. Non so come andrà a finire per il pagamento. Esco all’aperto il temporale è cessato. Quante stelle, che cielo limpido , pulito , però laggiù verso la savana molti lampi  non preannunciano nulla di buono. Mi affretto verso casa, dove mi attende J. D., con la cena pronta e al riparo dalle zanzare.

Conto i giorni che mi separano dalla partenza. Oramai il progetto per il quale mi trovo qui è quasi al termine. Dopo due mesi sono un po’ stanco ma un giorno tornerò... fra non molto tempo, non so se me ne resta tanto per poter fare progetti a lungo termine  ......  E se Dio vorrà..

Umberto Aubry

 

Signore insegnaci

a non amare noi stessi,

a non amare soltanto i nostri,

a non amare soltanto quelli che amiamo.

Insegnaci a pensare agli altri,

ed amare in primo luogo

quelli che nessuno ama.

Signore, facci soffrire

della sofferenza altrui.

Facci la grazia di capire

che ad ogni istante,

mentre noi viviamo una vita troppo felice,

protetta da Te,

ci sono milioni di esseri umani,

che sono pure tuoi figli e nostri fratelli,

che muoiono di fame

senza aver meritato di morire di fame,

che muoiono di freddo

senza aver meritato di morire di freddo.

Signore, abbi pietà

di tutti i poveri del mondo.

Abbi pietà dei lebbrosi,

che tendono verso la Tua misericordia

le mani senza dita,

le braccia senza mani….

e perdona noi, di averli

per una irragionevole paura, abbandonati,

e non permettere più, Signore,

che noi viviamo felici da soli.

Facci sentire l'angoscia

della misericordia universale,

e liberaci da noi stessi.

Così sia.

                                               (Raoul Follereau)