Cameroun
30 maggio 2001
Qui la vita scorre regolata su modelli e valori non riconducibili alle nostre esperienze,
con tempi e ritmi totalmente estranei alla nostra civiltà.
Il sogno che si realizza... foto 1
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W
E S T - A F R I C A
In
pochi giorni ho visto tante infezioni delle ossa, quante si può dire non ne ho
viste negli ultimi dieci anni della mia carriera ospedaliera e purtroppo sono
quasi tutti adolescenti. Cito soltanto un esempio: una bellissima bambina di
circa dodici anni già disarticolata dell’arto superiore sinistro, con una
tremenda infezione al femore ed alla tibia, resistente a tutti gli antibiotici
con rigidità in flessione del ginocchio, ipertermia, stato tossico generale. I
medici discutono e mi chiedono se conviene tentare di salvarle la vita amputando l’arto inferiore subito o attendere...
e sperare... “in che cosa?” anche i parenti l’hanno abbandonata, “che posso fare, che cosa posso consigliare
?... ”
Soffrire
con dignità. Non ho sentito nessuno gridare, piangere, disperarsi . La loro
sofferenza si legge negli occhi , grandi , vuoti, a volte spenti a volte vivi,
sembra che parlino.
Quello
che conta è la prima impressione, perché poi ci si abitua e quasi tutte le brutture
che si vedono sembrano essere la norma
e a poco a poco scompaiono.
Le
incubatrici sono l’esempio eclatante della condizione sanitaria locale. Tutte
le madri occidentali dovrebbero vedere con i loro occhi le condizioni in cui
vivono quei piccini inermi rinchiusi in cassette di legno con una piccola
finestra, per riscaldamento una lampadina e per giaciglio un materassino, forse
in plastica. Vi viene subito da pensare alle conigliere dopo il parto della
coniglia. Nella stanza fa un caldo infernale, sembra di stare in una serra .
Si
arriva in questi luoghi, spinti non da una sola motivazione ma da diverse e le
più disparate. Voglia di ..... voglia di ....... non sto qui a soffermarmi su
questo, cadrei nel filosofico-social-speculativo e credo che non sia il caso.
Arrivati,
dopo qualche giorno la prima domanda che ci poniamo è : “è reale tutto quello
che sto vivendo? E se si, io fino ad ora dove e come ho vissuto? Ho vergogna di essermi lamentato, di aver
creduto in alcuni momenti di essere la persona più infelice del mondo. Senza
veri termini di paragone non mi sono accorto di nulla, ho confuso la felicità
con l’infelicità, il dolore con il piacere. Ho tenuto distinte solo la vita e
la morte. Qui nemmeno questo è possibile .
Quante
volte mi sono chiesto: “a che pensa quella persona seduta in penombra al
margine di una polverosa, assolata, rumorosa strada, con lo sguardo fisso nel
vuoto .” L’umidità è opprimente, il caldo mi soffoca, chiedo stupidamente:
“come si va?” mi guarda e abbozzando un flebile sorriso mi risponde piano: “si
va bene”. E’ possibile, senza passato, senza presente e senza futuro.
E’
facile cadere nel retorico parlando di queste cose ma ditemi, la parola miseria
è retorica? La parola dolore è retorica? E che significa retorica, forse sapere
o credere di sapere per poi fare finta di nulla ?
Una
cosa che ci distingue ( noi Europei da loro Africani) è il tempo. Ho l’impressione che per loro il tempo non
esista. Ci vediamo tra un’ora, fra due ore, fra cinque... è lo stesso . Intanto
il sole sorgerà sempre e poi verrà la notte.
In
una chiesetta protestante, gremita fino all’inverosimile ma con gente
ordinatissima, ho assistito ad un rito religioso domenicale. Si prega cantando
e ritmando con il corpo. La partecipazione è totale: si partecipa con l’anima e
con il corpo. Ho e porterò per sempre dentro di me le parole cantate
sussurrando: “ ... dans la vie tout
pass tout s’en va” Tutto è
rassegnazione.
Siamo
andati io e la moglie del direttore dell’Ospedale a trovare, è forma di rispetto
dovuta, il capo tradizionale, o “fon” tra i Bamileke, il quale possiede ancora
oggi una riconosciuta ed importante autorità religiosa e spirituale. Dopo le
formalità di rito siamo stati ricevuti. Abbiamo attraversato alcune stanze
colme di statue, maschere e armi tradizionali coperte da un abbondante strato
di polvere. Ci attendeva in una sala rotonda
seduto, direi quasi sdraiato su di una grossa poltrona che ben mostrava
gli anni che aveva . Terrorizzato ho notato, pressappoco vicino alla sua testa
una nuvola di zanzare, la mia prima idea è stata quella di fuggire, ma
.... Il sultano, persona degna di tutto
rispetto, affabile e quasi sorridente, seppure nel suo misurato distacco , in
un ottimo e musicale francese mi ha domandato quale fosse il motivo del mio
soggiorno in Cameroun e specialmente
presso l’Ospedale . Alla mia spiegazione si è mostrato molto contento e con
dignità mi ha parlato della secolare miseria nella quale vivono, senza far
commenti, e della assoluta necessità di una sanità migliore. Mi ha invitato a
visitare la sua casa, parte della quale ha trasformato in un museo etnologico
per poter trarne qualche profitto, tranne le capanne nelle quali alloggiano le
sue donne. Preciso, al momento ne nutre (si fa per dire) e mantiene 63 , avendo
egli ereditato 43 mogli dai suoi parenti più stretti (fratelli e nipoti) morti.
In verità egli ha solo 23 mogli dalle quali ha avuto una quarantina di figli .
E pensare che credevo che la poligamia fosse una leggenda . Ecco la
contraddizione in termini, poveri, senza sanità, senza nulla ma con 63
mogli da mantenere.
Sono
le 19.30, mi vengono a chiamare un gruppo di persone, sono tutti armati. Mi
spiegano in un concitato ed approssimativo francese che una suora cattolica
missionaria che abita ad una ventina di chilometri nella savana ha urgente
bisogno che io visti una persona che vive nella missione. Mi preparo in tutta
fretta, saliamo sulla solita sgangherata Toyota e partiamo. Durante il tragitto
la mia compagnia armata non cessa di ridere ad ogni sobbalzo della macchina.
Rivolto a quello che mi sembra il più importante gli chiedo il perché delle
armi. Mi risponde seccamente: “banditi”. Giunti alla missione cattolica mi
riceve una donna gracile quasi trasparente . Di lei sono visibili solo le ossa
, i tendini e gli occhi, furbi, svegli. Senza tanti preamboli mi dice di
chiamarsi Maria, di essere una sorella laica e che vive in Cameroun da 34 anni. Per 24 anni ha curato lebbrosi ,
ed ora che la lebbra è stata quasi debellata totalmente si dedica alla cura dei
malati di Aids , quelli terminali. Mi chiede cosa sia venuto a fare in
Cameroun. Ha sentito dire che sono ortopedico e deve farmi vedere un suo
vecchio amico che soffre molto con le ossa. La seguo in una camera di un
padiglione adiacente a quello in cui sono stato ricevuto e che ospita un anziano. Sdraiato su di un letto, immobile, mi guarda
senza dire nulla ( in Africa a chi soffre rimangono solo gli occhi). La missionaria
mi mostra alcune radiografie. Le ossa sembrano state crivellate. Non
vedo un solo osso sano, e rivolto alla Suora le dico piano: “nulla da
fare e nulla da dire” “lo sapevo
già”, risponde, “andiamo”. Mi racconta
la sua storia, a flash , mi dice che è uguale a quella di tutte le persone che
hanno scelto di fare nella vita quello che lei ha scelto. Poi con uno sprazzo
di orgoglio mi invita a visitare la sua piccola opera, il suo centro per la
raccolta dei malati terminali di Aids, alla periferia della città. Le prometto
di andarci. Mi chiede se voglio
passare la notte lì o ritornare in Ospedale, in quanto la strada è lunga e può
essere pericolosa a causa dei banditi.
Preferisco tornare. Vorrei sapere qui che cosa non è pericoloso. Ci
salutiamo: “ arrivederci, non ti
arrendere, c’è bisogno di ortopedici,
non vedi quanti storpi , specie bambini “ rispondo “arrivederci , non lo faccia
soffrire, non è giusto “ “ho pensato di portarlo in ospedale , ma credo che sia
peggio, che dici?” “dico che ti voglio
bene “ non mi ha sentito .
Alle
8.00 il dottore L. mi passa a prendere e ci incamminiamo lungo il sentiero che
ci porta in Ospedale. Cosa si intende qui per Ospedale? E’ difficile capirlo se
non lo si vede . Cercherò di descrivere
quello in cui lavoro.
Un
insieme di capannoni separati l’uno dall’altro, distribuiti su di una zona
abbastanza vasta e collegati tra loro da stradine in terra battuta, al lato
delle quali scorrono canali abbastanza profondi che servono per lo scarico
delle acque durante i frequenti temporali e come fogne a cielo aperto . Ogni
capannone è formato da due file di
stanze , una dietro all’altra separate da un corridoio centrale. Ogni
stanza è aperta sulla strada e sul corridoio centrale. Provate a pensare ad una
stalla e ne avrete un‘idea. Mi vergogno di fare questi paragoni ma credetemi, è
purtroppo così. Le stanze sono piene di letti in una ne ho contati dodici , ed
i letti sono pieni di gente, uomini,
donne e bambini. A volte si confondono i malati dai sani eppure vi è silenzio.
Se qualcuno parla lo fa sottovoce, nessuno si lamenta gridando, nessuno piange.
Il pavimento è in cemento con buche dappertutto. Il personale parasanitario lo
lava continuamente, aggiungendo acqua su acqua, pozzanghera su pozzanghera. Il
caldo è soffocante. I malati non possiedono nulla tranne i pochi stracci che
indossano e per il vitto sono lasciati alla bontà dei parenti che li hanno
accompagnati e che cucinano all’aperto sotto una tettoia affumicata. Mangiano
con le mani e quelli che non ce la fanno vengono imboccati ugualmente solo con
le mani. Ho visto alcune stoviglie, ma non ne ho visto il loro uso. Alcuni
pazienti non vogliono più andare via , dicono di trovarsi bene .... figuriamoci
la loro abitazione . Eppure pagano, qui tutto si paga. Il medico fa la visita e
prescrive gli accertamenti e le medicine. I familiari del paziente vanno prima
alla cassa a munirsi dello scontrino , poi al laboratorio, in radiologia e in
farmacia per ottenere ciò che il medico ha prescritto . E chi non ha soldi? E
sono la maggioranza. Si aspetta, si contratta, si suddivide la somma in piccole
parti. Quando si paga si paga a rate
per dirla in breve o ...... si può anche morire nell’attesa. “E’
assurdo” mi sono detto, “qui se non si hanno i soldi si rischia di morire, anzi
si muore”. Ho constatato con i miei occhi quello che sto raccontando. Ma a ben
pensarci, in fondo come potrebbero sopravvivere gli ospedali senza alcun
introito, se il governo centrale non interviene assolutamente in niente, in
campo sanitario sia nel pubblico che nel privato? C’è da impazzire, da dare la
testa nel muro. Ogni tanto arriva qualche goccia di speranza e mi riferisco
agli aiuti umanitari. E’ inutile discutere, cercare di farsi una ragione per
non contribuire, lavarsi le mani e la coscienza , parlare in politichese e
citare teorie sociologiche , qui i bambini muoiono per una banalissima
infezione, questa è la realtà. Nel
terzo millennio molti bambini hanno ancora la
pancia piena di vermi e sono convinto che chi crede che gli aiuti non
servono o non ha capito nulla o non vuole capire nulla. Il progresso avanza
comunque, la polio è stata debellata . Quel bambino che salviamo oggi potrebbe
essere lui stesso il salvatore di domani se avrà preso coscienza della realtà che lo circonda.
Il
viaggio Bafoussam-Douala è in fin dei conti piacevole, ci vogliono circa
quattro ore in macchina. Si viaggia su una strada larga e ben asfaltata . Ho
paragonato questa strada ad un fiume che scorre, sulle sponde del quale si
affacciano una miriade di casupole costruite in mattoni di terra rossa. Intorno a queste povere
abitazioni molti bambini, semi vestiti,
giocano incuranti del caldo e delle mosche. Vecchietti seduti, immobili, si
confondono con la ricca vegetazione che li circonda. Ogni tanto queste casette
si raggruppano a formare un villaggio ed è subito mercato, in qualunque ora del
giorno. Movimento dappertutto, si parla ad alta voce, si gesticola, e
specialmente si contratta. E’ il loro gioco preferito contrattare. Ma gli
articoli contrattati sono ben misera cosa.
Al
margine della strada è un continuo incontrare gente in cammino, al mattino, di
giorno, di notte, sempre. Qui si cammina sempre, non ho mai visto tanta gente
in movimento , di tutte le età . Quelle che colpiscono di più sono le
giovinette di 14, 15 anni , camminano portando in testa fascine di legno con un
incedere così elegante che sembrano piccole modelle in sfilata.
Ogni
tanto si incontra un posto dove si paga il pedaggio, infatti qui ogni cosa ha
il suo prezzo, si paga tutto, anzi si dovrebbe ma.... Racconto un piccolo
episodio a riguardo. Mi ero fermato per fotografare un monte, il cosiddetto
monte “dei gorilla” (se vi abitano veramente codeste creature, a dire il vero,
non lo so), quando mi si avvicinano due
giovanotti che con fare convinto
e convincente, mi fanno capire che per fotografare il paesaggio devo pagare.
Non discuto , qui discutere è inutile, si perde solo tempo. Do loro qualche
spicciolo , mi salutano contenti e si allontanano contenti. Che tenerezza mi
fanno.
Il
posto dove si paga il pedaggio è un
vero e proprio mercato. Si è assaliti e circondati da uno sciame di venditori,
per lo più bambini che offrono le loro mercanzie , frutta in sacchetti di
plastica . Ti guardano , ti implorano, pur sapendo che noi non compreremo nulla
. Vorrei poter regalare loro qualche cosa, ma è impossibile, sono troppi e qualunque
gesto caritatevole scatenerebbe tra loro il finimondo. Si paga e si riparte.
Altra
sosta lunga, a volte penosa, avviene se avete la sventura di essere fermati da
una delle numerose pattuglie della polizia. Non vi fermeranno mai per aver
violato qualche articolo del codice stradale,
che non so se esista, ma solo per un controllo generale. Qui si
dimostrerà tutta la vostra capacità di autocontrollo, la vostra conoscenza e il
vostro amore per l’Africa. Il solo controllo del passaporto dura dai dieci ai
quindici minuti. Lo guardano, lo studiano, lo rigirano da tutte le parti
cercando chissà che cosa, poi alla fine dicono: “non c’è il permesso di soggiorno, questo è molto grave”. Allora con tanta pazienza fate vedere la pagina con il grosso timbro rilasciato
dal Consolato del Cameroun in Italia dove è chiaramente scritto quello che
concerne il vostro ingresso, il periodo di validità ed il visto consolare.
Verrà allora chiamato il capo posto che dopo aver discusso lungamente e
concitatamente con il sottoposto ricontrollerà nuovamente il passaporto. Il
caldo si fa sempre più opprimente e ciò che è peggio si incominciano ad
intravedere le zanzare. La guardia torna da voi e senza consegnare il passaporto ripete: “non c’è il permesso di
soggiorno, ciò è molto grave” punto e a capo.
Finalmente
si decide ad intervenire l’autista, scende dalla macchina, discute, vedo che
paga qualcosa e come vuole il Signore
si riparte.
La
strada si snoda e scende giù verso la costa. Si passa dall’altopiano a circa
1.500 metri sul livello del mare fino all’inferno, intendo , si arriva a Douala
. Della città parlerò in seguito, dirò poco , perché poco conosco . Il caldo e
l’umidità sono elevatissimi e ti tolgono il respiro. La prima sensazione di
malessere si avverte lungo gli arti inferiori,
sembra che il caldo salga dal basso.
Alle
18.20 cade la notte. All’improvviso, in pochi minuti si passa dalla luce
all’oscurità . Ma a differenza del passaggio biologico fra la vita (luce,
rumore) e la morte (tenebre e silenzio) qui si avverte la rinascita di una
nuova vita. L’apparente silenzio è a poco a poco riempito da rumori , un altro
mondo si risveglia , incomincia ad agitarsi , incomincia a muoversi ed inizia
la lotta naturale per la sopravvivenza. Gli insetti, milioni, rompono in poco
tempo, con i loro canti più diversi, il silenzio e di tanto in tanto rumori più
profondi, indistinguibili, forse richiami di animali più grandi in caccia o in amore ci fanno sentire quali
siamo, piccoli e spaventati. Qui di notte ogni piccolo rumore si ingigantisce,
ecco che riappare la nostra paura atavica, le nostre paure ancestrali
riemergono dal profondo del nostro essere
ed eccoci pronti alla fuga, sempre all’erta. Da lontano sembra arrivare
il suono di un tamburo , di un tam-tam. E’ mai possibile mi chiedo, siamo nel
terzo millennio. In altri Paesi a quest’ora le grandi metropoli sfavillano di
milioni di luci, oppure cominciano un nuovo giorno con l’assordante suono dei
clacson. E qui, ora lo sento bene, è inequivocabilmente il suono di un tam-tam
lontano, chissà dove, intorno ad un fuoco qualcuno festeggia qualche
avvenimento oppure invia qualche messaggio. Questo messaggio mi è giunto, è
giunto alla mia anima attraversando centinaia di anni del mio più antico
essere.
So
di raccontare cose già scritte e riscritte, dette e ridette, ma fa lo stesso,
le scrivo a me stesso. Sono piccole annotazioni che forse non rileggerò mai ma
che in questo momento mi fanno compagnia. Sono solo ed invece di pensare, o
peggio di parlare ad alta voce con me stesso scrivo e nel rileggere non mi
sento più solo. Questo non è un diario.
Ho sempre detestato i diari, non ho mai posseduto un diario, nemmeno quello
scolastico che preferivo tenesse mio
fratello. Quello che scrivo sono considerazioni professionali su questo
particolare momento della mia vita. Considerazioni alle quali si può dare il
valore che ognuno vuole. Non pretendo certamente di essere un profondo
conoscitore di questi luoghi dove sto vivendo questa mia esperienza. Ci
vorrebbe una vita. Ma forse un giorno
rileggendo queste poche righe, troverò qualche cosa di me stesso , quel
“qualche cosa” che sto cercando da anni e che mi ha spinto a ritornare in
Africa.
Il
progetto che ho intenzione di realizzare qui in Cameroun è estremamente
semplice. Vorrei ristrutturare due padiglioni dell’Ospedale di Mbouo per
potervi inserire all’interno cinque stanze di degenza con rispettive toilettes,
una stanza studio per i medici, una per gli
infermieri, una sala ambulatorio e gessi, una piccola sala operatoria e
due stanze deposito. All’esterno del padiglione dovranno essere allocati una
cucina, una piccola sala d’aspetto con relativo servizio igienico e una
lavanderia.
Come
si può vedere dalle fotografie i padiglioni messi a disposizione sono in uno stato di completo abbandono che
solo un giudizio tecnico potrà dire se sarà meglio ristrutturare o demolire e
recuperare il recuperabile per ricostruire. La struttura dovrà essere
funzionale e facilmente gestibile , conforme alle abitudini della gente che
dovrà usufruirne ed inserita nel complesso ospedaliero già esistente.
Bisognerà
tener conto di tanti fattori umani primo fra tutti quello della famiglia, qui
intesa come gruppo inscindibile. Quando si ammala il padre, è tutta la famiglia
che si ammala; benchè molte cose pare stiano cambiando ci vorrà ancora del
tempo perché le persone di livello culturale medio-basso, che rappresentano,
quasi la totalità riescano a staccarsi da millenarie tradizioni.
Ogni
malato riceve il cibo cucinato dai suoi familiari in grandi cucine comuni all’aperto. Chiamarle cucine è improprio.
Infatti si tratta di focolai fatti di pietre e raggruppati sotto una tettoia.
Ognuno porta la legna ed il tegame da casa. Dopo il modesto pasto si lava il
tutto all’aperto e si lascia asciugare al sole. Mangiano specialmente un
impasto di mais e di legumi vari.
Mosche e formiche si aggirano a frotte.
Medici
ed infermieri sono abbastanza bravi , alcuni anche preparati. Riescono a
svolgere il loro ruolo con dignità e specialmente coraggio. Nelle loro condizioni,
senza ausili diagnostici riescono a mio
parere a fare il quaranta - cinquanta per cento di diagnosi esatte e credetemi
è tanto . Se si tratta di malattie tropicali è difficile che sbaglino, gli
basta guardare il paziente in faccia . Questo piccolo reparto ortopedico deve
essere fatto. Non è possibile nemmeno lontanamente immaginare quanto possa
essere utile e di stimolo per fare sempre meglio. Le persone, specie i bambini
che sono la maggioranza , per una semplice frattura possono rimanere invalidi per
tutta la vita se gli va bene, oppure morire quando sorge qualche piccola
complicanza di tipo infiammatorio.
Potrei
narrare decine di storie, di fatti che
ho vissuto personalmente, di cose che ho visto con i miei occhi e che si sono
impresse nella mia mente in modo indelebile, ma credo di aver già reso a
sufficienza, per chi vuol capire, l’estrema esigenza di agire nel più breve
tempo possibile. Quelle persone ammalate non possono aspettare, quei poveri
piccini non ce la fanno più. Ogni mattone che riusciremo a mettere sarà un
bambino in più che vivrà .
E’
venuto a trovarmi un italiano che abita da queste parti da circa cinque anni.
Veneto , molto loquace, bell’uomo ex giocatore di rugby. E’ direttore tecnico
del più grande stabilimento di produzione di polli e uova , mi dice di tutto il
West Africa. Ha saputo del mio arrivo da un suo autista che ha avuto bisogno di
me per una frattura al polso. Dopo i convenevoli d’uso affrontiamo subito il
problema principale, l’Africa. Non vedo l’ora di farmi raccontare, da chi ormai
vive qui da anni, tutto ciò che da giorni mi assilla e che non riesco a
spiegare. Sono un fiume in piena , gli domando di tutto: cucina, sesso, usanze,
religione. Mi guarda negli occhi e mi risponde sempre iniziando il discorso in
questa maniera:” guarda, qui può succedere di tutto, qui è vero tutto ed il
contrario di tutto. Qui non devi meravigliarti di nulla. Non esiste il buono,
il cattivo, il bene, il male, è così credimi. Chi non ha niente possiede tutto,
è questa una regola mondiale, è una massima che vale dappertutto, ma
specialmente qui in Africa. Dicono i più colti che noi deportavamo i loro avi
per venderli come schiavi. Ebbene ora la schiavitù in quasi tutto il mondo non
esiste più. Ho detto quasi, perché qui esiste e lo puoi constatare giornalmente
con i tuoi occhi. In qualunque casa che abbia anche un solo piccolo reddito che
supera la media esiste un cuoco, un
guardiano autista, un giardiniere. Non vedi come sono trattati, con quale
arroganza specie dalle padrone. Il
padrone non li guarda nemmeno, si limita a disprezzarli . Sono quasi tutti
razzisti e schiavisti (sono parole dell’amico italiano che mi limito a
riportare senza commenti) “forse è un
retaggio della vecchia colonizzazione” dico io “non credo” mi risponde. Alcuni
vecchi rimpiangono i padroni bianchi: “allora si che si stava bene.” D’altra
parte tutti qui lo ammettono, gli schiavi erano venduti ai negrieri dai loro
capi, specialmente perché erano in soprannumero ed il cibo scarseggiava. In
effetti si dice che nessun grande capo sia stato mai tradotto in schiavitù.”
Credo che solo qui si possa ragionare in questo modo, ma devo ammettere che un
piccolo, piccolo fondo di verità possa esistere. Che ci sia la schiavitù, se
schiavitù significa prevaricazione, annullamento della personalità e dei
diritti del singolo, l’ho constatato giornalmente. Chi percepisce una paga è
sottomesso quasi totalmente al datore di lavoro e questo è accettato da tutti
(quasi tutti mi viene da credere)
Infrangere la teoria dei ruoli, sovvertire l’ordine dell’universo e
questo è il peccato più grave. Sembra strano ma è così, più tratti male una
persona a te vicino e più sei considerato un uomo o una donna importante. La
maggior parte della gente ha il terrore della polizia o di chiunque vesta una
divisa. Ho visto uomini terrorizzati incapaci di profferire parola davanti ad
una semplice richiesta di documenti da parte di una guardia qualunque. Ad un
blocco stradale se alzi la voce, se hai il coraggio di alzare la voce,
novantanove volte su cento ti lasciano subito passare, però è meglio non farlo
potresti essere il rimanente uno per cento ed allora sono guai seri, potrebbe
partire un colpo, anche se per lo più i
fucili sono scarichi.
Caro
dottore qui la vita è dura. L’Africa quella vera, quella a cinquanta metri
dall’unica strada asfaltata è fatta per uomini duri , qui non si scherza
volentieri , la lotta è giornaliera, si lotta sempre ed il più delle volte con
nemici che non vedi . Tu lotti contro i batteri, contro i virus, noi oltre questi anche contro nemici ancora
più invisibili ... le Multinazionali. Noi siamo gli emigranti del progresso non
siamo missionari, siamo i moderni conquistatori , siamo i tecnici , combattiamo
sotto un’unica bandiera, quella piccola
e verde , il dollaro, come avrai ben capito.
Vedi
vi è una notevole differenza fra l’Est Africa e il West Africa . Là sulle coste
dell’oceano indiano, l’avanzata turistica è stata enorme. Non vi è ormai troppa
differenza tra una spiaggia dell’Adriatico ed alcune località balneari del
Kenia. I parchi nazionali sembrano giardini zoologici dove gli animali si fanno
fotografare quasi fossero prime donne. Sembra quasi che la lingua ufficiale sia
l’italiano. Il mare è invitante, il più dello volte caldo e calmo. Anche le
zanzare, stordite dall’Autan e da altri prodotti sembrano rimbambite e più
buone.
Qui
no. Guardi la costa per esempio, non vedrà le belle spiagge contornate da
banani ed alberi di cocco, ma zone
paludose piene di mangrovie, specialmente sull’estuario dei fiumi. Fiumi
enormi che riversano nell’oceano milioni di tonnellate di fango, che rendono le
acque per molte miglia scure, di un colore marrone chiaro, Sott’ acqua non si
vede nulla alla distanza di dieci
centimetri dal proprio naso . Il mare è continuamente agitato ed i poveri pescatori
lottano ogni giorno con l’onda lunga e spesso qualcuno muore. E’ il tributo che
devono pagare, lo sanno ma continuano, devono pur sempre sopravvivere.
Qui,
e credo di non esagerare, ogni giorno si rischia la pelle, non bisogna mai
abbassare la guardia, sotto ogni pietra può nascondersi un pericolo mortale,
come anche sui rami. Una semplice puntura di zanzara, se non si è ben cautelati
può essere fatale. E poi, sai meglio di me, TBC , meningite, decine di forme
strane di malattie tropicali sono all’ordine del giorno. Per non parlare
dell’Aids. Sarebbe troppo lungo. Un solo esempio vale per tutti circa la
prevenzione. Il governo ha distribuito, a pagamento si intende, migliaia di
preservativi. Il mio autista alla domanda se lo usasse, mi ha risposto con
angelico candore che gli hanno detto che per essere protetti basta tenerlo in
tasca e così tutti i suoi amici seguono scrupolosamente questa misura di
profilassi. Mi dice inoltre che nella maggior parte delle donne suscita grande
ilarità il vedere un pene vestito, con
conseguenza caduta di pressione dell’uomo ed interruzione del rapporto. Se la
fame prende il sopravvento si continua a ..... mani nude, alla faccia
dell’Aids. Sembra proprio che nulla sia preso sul serio, per fortuna quasi
sempre tutto finisce con una risata, anche se amara. “Così va il mondo”
L’amico qui conosciuto, si accompagna
come quasi tutti gli stranieri che vivono qui soli , con una bellissima giovane
locale, penso che quasi tutte le indossatrici la invidierebbero. Inutile
descriverla, non ne sarei capace. Mi rivolgo a lei che, giovane e
culturalmente preparata, dice di aver
studiato a Parigi, penso possa rispondermi con sincerità circa una questione
dibattuta una sera tra noi Europei e
cioè: “è vero che le donne west
africane non si innamorano mai? E chi, specie tra gli uomini bianchi, ha la
disgrazia di perdere la testa per una di queste beltà nere, immancabilmente
finirà male i suoi giorni?” Mi risponde senza esitazione: “può essere vero, ma
vi sono moltissime ragioni perché io risponda così a ciò che tu mi chiedi. Noi
donne in Africa siamo sempre state considerate meno di niente. La parola
schiava, non esprime assolutamente nulla , essere schiavi è essere qualcuno,
essere donna, niente. La maggior parte di noi ha conosciuto l’uomo, chiunque
esso sia, parente, conoscente, straniero, in giovanissima età, subendo sempre
una violenza fisica. Il sesso per noi comincia con il dolore e finisce nel
momento del parto con il dolore. Da piccola ho sentito che chi mi penetrava a volte si lamentava e ho
creduto, contenta, che anche lui soffrisse. Perché dovrebbe esistere quello che
voi chiamate amore. Chi ti vuole bene lo dimostra facendoti vivere
nell’eleganza, in una casa pulita, senza farti mancare nulla e tu lo ripaghi
con il tuo corpo e anche con il tuo affetto.
Questo è l’amore”.
Guardo il mio amico italiano, lui mi
capisce e mi sussurra: “meglio così,
niente complicazioni. Però attento, se capiscono che sei cotto non solo lei ma
anche tutti i suoi partenti ti saltano addosso e ti spellano vivo, ti riducono
sul lastrico. Senti a me, se ti dovesse capitare, caro il mio missionario, non
si sa mai, fai come i loro uomini, ogni tanto dalle un calcio nel culo, anche
se è il più bel culo del mondo.”
La vita in Ospedale si fa sempre più
dura . L’Ospedale può ospitare fino a duecentocinquanta persone, generalmente
ne sono ricoverate più di trecento.
Alcune
stanze sono piene fino all’inverosimile e si fa fatica a distinguere i sani dai
malati. . Eppure sono tutti schedati con una loro piccola cartella clinica che
viene aggiornata puntualmente. I medici sono tre, quattro con il direttore. In
più vi sono dodici infermieri capi. Sull’entrata di ogni padiglione una scritta
indica, si fa per dire, quale reparto è
lì allogato. Medicina generale, chirurgia generale, maternità,
pediatria, oculistica, blocco
operatorio, rianimazione e terapia intensiva e per ultimo l’isolamento. Passo
ora alla spiegazione di ciò che ho scritto che potrebbe essere forviante . Quando
ad esempio parlo di rianimazione e terapia intensiva non intendo ciò che ognuno
di voi crede di aver capito, qui per terapia e rianimazione intensiva si
intende che il malato viene visto due volte al giorno, solo guardato.
D’altronde non esiste quasi mai ossigeno per tutti quelli che ne avrebbero
bisogno. Non esistono sussidi animatori. Credetemi in tutto l’Ospedale e quindi
in tutto il distretto (circa 800.000 persone) , vi è un solo
elettrocardiografo, dono di un olandese di passaggio, con una sola pista e che
penso pochi o nessuno sa fare funzionare veramente. Qui la clinica è tutto,
solo con la semiotica clinica e non strumentale si fanno le diagnosi esatte,
quando si fanno. Passo ora a descrivere il cosiddetto “Blocco operatorio”. Non
bisogna confondere sterilità con pulizia e qui i locali adibiti a sala operatoria sono puliti. Le finestre chiuse
ermeticamente fanno si , non essendoci circolazione di aria, che la stanza
diventi una specie di forno con gravi difficoltà respiratorie degli operatori e
peggio ancora per gli operandi . Un giovane medico di Torino in visita, mi ha
riferito di essersi sentito male . Anche io ho avuto molte volte il desiderio
di lasciare tutto, di fuggire. Per fortuna sono riuscito a convincere un
collega medico, che aperte o chiuse, le camere operatorie, dal punto di vista
sterilità era lo stesso. Adesso le cose vanno un po’ meglio. L’equipe
chirurgica è formata da tre infermieri ed un medico, in più un infermiere funge da anestesista. Ad operare sono gli
infermieri, li ho visti operare di tutto, addomi acuti, isterectomie, parti
cesarei , stomaci, colecisti e quanto altro capita loro sottomano. Non so che
dire , non operano male. Forse aveva ragione quel mio collega che sosteneva che
per fare il chirurgo non c’era bisogno della laurea , ma bastava la conoscenza dell’anatomia,
delle tecniche chirurgiche, degli strumenti
e dell’aiuto del buon Dio (al paziente). Ma che possono fare ? Sono soli, abbandonati sopra una nave in un mare in
tempesta. A morte sicura è meglio
tentare di salvare la vita, anche a costo di un atto eroico ed il più delle
volte ci riescono. Non so se definirli eroi o cosa altro. Ho chiesto a quello
che chiamano anestesista quali analisi
fanno prima dell’intervento . Mi ha risposto ridendo “Non vedi tutte quelle che
servono” e poi ha aggiunto “ho solo ketalar ed un po’ di idrocortisone non ho nemmeno sempre una bombola di
ossigeno piena, a volte non arriva . Laringoscopio , tubi oro-tracheali
maschere, nulla di nulla, l’elettrocardiogramma, qualche volta, ma è difficile
interpretare il tracciato, xgrafia del torace, l’apparecchio radiografico ha
circa venti anni, non ricordo . In queste condizioni lo so che dovremmo
chiudere tutto ma come si fa, i malati andrebbero incontro a morte sicura.
Vedi, mio figlio l’abbiamo operato un mese fa per un’occlusione intestinale,
era quasi morto. Ora l’hai visto, l’hai conosciuto, va a lavorare nei campi. E
poi credi tu sei venuto ed altri come te verranno, le cose cambieranno vedrai.:
“ Non so, mi sento così stanco, ed è così poco tempo che sto qui”. Vorrei
potergli dire tutto quello che ho dentro, la rabbia, l’amarezza, la profonda
tristezza e quel nodo alla gola che mi soffoca, quando vedo una persona e
specialmente un bambino soffrire, ma
non servirebbe a nulla, forse solo a confondergli le idee. Alla televisione
trasmettono dal vivo le manifestazioni per la loro festa nazionale. Il loro
governo è in pompa magna..... Meglio così.
Questo è decisamente il Paese dei
controsensi . Mi spiego meglio, la terra, tranne in alcune zone, è fertilissima.
Si fanno contemporaneamente sullo stesso suolo due o tre tipi di coltivazione.
Il raccolto è eccellente, molti prodotti inscatolati in Europa provengono da queste zone. La frutta,
banane, mango, papaie, avocadi, ananas ed altri ancora crescono in abbondanza e
costano veramente poco. Allevamenti di animali potrebbero far invidia a quelli
europei. La produzione è elevata ed i costi bassi . Per non parlare delle
materie prime, in testa a tutte il petrolio ed i legni pregiati . Allora
perché, perché tanta miseria? Inutile
fare una analisi, in un primo momento tutte le ipotesi sembrano giuste, ma poi
a conti fatti ci si ritrova punto e a capo. Sociologi ed economisti possono
sbizzarrirsi ma una cosa è evidente, la miseria, intendiamoci, non la fame, la
miseria intesa in tutti i sensi. Un bambino pieno di vermi intestinali, la
morte di migliaia di persone per la malaria e le sue complicanze, la
tubercolosi che sta ripresentandosi in modo spaventoso a causa delle abbassate
capacità reattive degli organismi minati dall’Aids , vero flagello che sta
decimando comunità intere, queste ed altre malattie sono quelle che intendo io
per miseria. Occhi come pozzanghere, labbra grandi, chiuse, immobili, orecchie
che non sentono, questa per me è la miseria. Catapecchie in mattoni rossi, con
tetti di lamiera dove il sole non entra, vi entra solo il caldo e l’umido dopo
la pioggia. Pioggia violenta, prepotente, questa è per me la miseria. Questa
miseria si tocca, si vede, si sente. Nell’aria quell’odore acre, forte, odore
di sudore misto a quello del sottobosco, ti penetra nelle narici quando ti
aggiri nei mercatini affollati. Altro che il profumo dell’Africa dopo la
pioggerellina calda, apportatrice di
tanto bene come descrivono molti scrittori preparati e profondi conoscitori
dell’Africa.
J.D. è il mio tutto fare da quando
sono in Africa: cucina, lava, stira ed è silenzioso, parla solo se gli si rivolge la parola. A suo modo ha dello
stile. Ecco , accidenti, che mi sento
quasi un colonialista . Il suo intercalare è : “d’accord “. Il primo giorno
quando mi ha portato il pranzo gli ho chiesto se voleva sedersi anche lui con
me, mi ha guardato con orrore misto a non so, terrore o cos’altro, ha abbozzato
un sorriso ed è scappato. Dopo qualche giorno ho capito il perché. Quello che
più mi ha mandato in bestia è il fatto che lui appassionato di televisione la
debba seguire solo stando in piedi ed io seduto. Ho capito che può sedersi solo
in cucina e quando non visto. Ha quattro mogli e quattordici figli. Gli ho
chiesto come fa a soddisfare e mantenere tutti. Mi ha risposto che sono loro a
soddisfarlo e a mantenerlo. E’ questa
la cosa che i monogami non riescono a capire. Come ho sempre pensato, Maometto è stato un grande profeta, un vero
uomo, forse un po’ maschilista. Al mio chiedergli quale religione professasse
mi ha risposto abbozzando un sorriso malizioso, senza specificarmi nulla, ma ha
solo detto che non è islamico. Poi con voce tremante mi ha rivolto la parola:
“Vous est poligame?” Ho abbozzato
anch’io un sorriso, ma solo per darmi un tono diciamo “virile”. E’ andato in cucina tutto contento e mi ha
preparato un piatto di spaghetti alla Camerunense , buonissimi e piccantissimi.
Non chiedetemi la ricetta della salsa, non ne ho la minima idea , mi ha detto
che l’ha inventata per me. In fondo,
pur non conoscendolo, mi sembra una brava persona. Rappresenta la tipica
figura di una volta, quella che assolutamente dovrà e deve scomparire, è
l’ultimo ma non l’unico retaggio rimasto di un tempo passato. Non si può però
progredire senza una vera presa di coscienza della realtà che ci circonda .
Cultura, qui per me non è solo
insegnare a leggere e scrivere si fa per dire, o a utilizzare il computer, è
sradicare dai cromosomi quei geni che contengono quel genere di passato che oggi rallenta il progresso.
Quelli che fanno si che queste persone
facciano un passo avanti e dieci indietro.
Caro J.D. mi sembri contento del posto
che occupi in questo caledoscopio . A volte ti guardo e vorrei porti tante
domande. Ma non lo faccio, tanto so già le risposte che mi daresti. Sono le
risposte più semplici che una persona come te dà ai quesiti più grandi ed
importanti dell’universo: “che cosa
sono quelle stelle? vedi quante? “
”sono luci “ e “la vita” e “la morte” . Ti metti a ridere, scrolli la
testa e continui nel tuo lavoro serale. Stai sicuramente pensando : “ che
domande stupide mi fa stasera questo dottore”.
Ho conosciuto diverse persone che
abitano qui da molti anni.. Sono per lo più missionari, pastori e suore di molte confessioni, oppure laici ,
che si dedicano volontariamente ad opere sociali. Vi sono anche alcuni tecnici
che dirigono fabbriche , specie alimentari , o lavorano nella raccolta del
legno, nella distruzione cioè di una delle risorse più importanti del paese.
Ognuno di loro ha una storia alle spalle e sono una fonte inesauribile di
racconti, storie vissute in prima persona o indirettamente . Sono i veri
conoscitori di questi Paesi , ben s’intende, se si sa distinguere il fatto
raccontato dalla interpretazione soggettiva che essi danno del fatto. Bisogna
capire che, forse, nessuno di loro ha sentito parlare di Levi Strauss o di
etnologia .
Per non perderne la memoria scriverò
alcune storie che mi sono state raccontate , così come da loro dette. Don A.
missionario cattolico da venti anni gira questi luoghi in motocicletta , ora
possiede un fuoristrada
Gagiva
. Ha messo su una bella scuola e dei laboratori ove si insegnano agli
handicappati diversi mestieri. Veneto, la classica figura del missionario senza abito talare e senza peli sulla lingua
. “Dottore” mi dice una sera “tu che ti
interessi di tutto, e sei medico, voglio raccontarti come hanno curato un mio ,
diciamo così , parrocchiano, uno cioè
che fa finta di lavorare qui nella parrocchia che anche se da sempre ha dato i
numeri in questi ultimi tempi ha esagerato. Figurati gli hanno messo in testa
che tutti i suoi guai sarebbero passati se fosse riuscito a violentare una
persona della sua famiglia.. Ha tentato di violentare sua madre ma sembra che
non ci sia riuscito anzi i parenti, lo hanno legato, e gli hanno dato un sacco
di bastonate fino a rompergli un paio di ossa. Poi sono venuti da me a
chiedermi di portarlo in un posto lontano verso il nord est, nella savana, dove vi è un guaritore di questi problemi,
diciamo, per capirci, un locale
psicoanalista, che dicono fare miracoli. Mi sono lasciato convincere ed
insieme ad un mio amico proprietario di una Land Rover siamo partiti , portandoci, insieme allo squilibrato, tre o quattro
parenti del poverino come guardiani, che non lo perdevano d’occhio temendo in
una sua fuga. Dopo un paio di giorni credimi, sono arrivato nell’inferno. E’
inutile descriverti il luogo ed i suoi abitanti. Immaginati un recinto largo,
con grossi alberi ed in fondo una grossa e lunga capanna, costruita con i
materiali del luogo e cioè mattoni rossi, sterpaglia, fango e come tetto le
solite lamiere. Da questa capanna uscivano i rumori più strani, le grida più
laceranti e gli odori più nauseabondi . Una persona ci è venuta incontro e con
molta circospezione ci ha condotti alla presenza del guaritore. “ Papa’ le
grand Apollo” questo è il nome di un uomo enorme, credo di oltre cento
cinquanta chili di peso, immerso, in una grande poltrona e nel suo grasso . Mi
ha chiesto il motivo della nostra visita . Date tutte le spiegazioni ha voluto
vedere il paziente. Dopo averlo studiato ben bene ha sentenziato: “Si può guarire con il mio aiuto e se Dio vorrà. Dovete lasciarmelo qui e quando
fra un mese o due mesi lo verrete a prendere sarà completamente guarito.
Tornerà da voi mansueto, calmo ed ubbidiente come una piccola capretta”. Pagato
l’obolo chiesto ci siamo allontanati verso la Land Rover, ma non appena la
vettura si è messa in moto , ecco sopraggiungere di corsa il povero paziente ,
che resosi conto di dove lo avevamo condotto, aggrappato alla macchina non
voleva ad ogni costo lasciarci partire senza di lui. Allora i parenti, già
infuriati per aver pagato in anticipo lo psicanalista senza tanti complimenti
lo hanno trascinato via, legato come un salame e consegnato a chi di dovere per
le cure del caso. Con la coda
dell’occhio, mentre partivamo ho notato alcune catene vicino agli alberi nel
recinto che prima ti ho detto ma ho pensato che servissero per i cani dato che
qui nella savana di notte circolano anche
animali pericolosi. Non sto a raccontarti quello che ho visto in quella
clinica neurologica. Se la gente, i peccatori, immaginassero così l’inferno,
caro il mio dottore, si butterebbero subito nel fuoco. Molto meglio. Ogni
tanto, dopo il ricovero chiedevo ai parenti sue notizie e loro mi rispondevano:
“va bene”. Dopo due mesi, una mattina lo vedo arrivare accompagnato dalla
vecchia madre . Dimagrito, pallido con lo sguardo spento, si è avvicinato, mi
ha guardato, salutato con il solito gesto di sottomissione ed è andato a tirare
via l’erba con le mani, lungo il
margine della strada che conduce alla chiesa, il suo solito lavoro. Ho chiesto
alla madre come stesse ed ella mi ha risposto: “dicono e dice che è guarito,
non parla quasi più ma è meglio così”. Sono venuto a sapere che la terapia era
consistita nel tenerlo legato , giorno e notte ad un albero con una
catena, nel famoso recinto, per
quaranta giorni sotto il sole e sotto la pioggia , se il Signore voleva che
guarisse, sarebbe guarito senza alcun dubbio, altrimenti..... “ Che fine ha
fatto?” gli chiedo. E’ fuggito alcune settimane fa e da allora non abbiamo più
sue notizie. Capito? Se vuoi conoscere l’Africa ora ti racconto un’altra storia, quella della donna che ha, anzi
doveva partorire tre o quattro gemelli “No grazie .Per questa sera ne ho
abbastanza. A proposito mi devi accompagnare dal “Grande Papà Apollo”, voglio vedere se la sua diciamo così
clinica, chissà che un giorno non possa averne bisogno anch’ io”. “E’ abbastanza lontano ma se te la senti può
valerne la pena” ha poi aggiunto:” non raccontare niente di ciò che vedi o che
senti , nessuno ti crederebbe . Lì da te in Italia sono quasi tutti
viaggiatori, chi di loro non ha fatto il viaggio di nozze in Kenia e ha visto i
leoni e non ha da raccontare una storia? magari di una avventura con un watusso
che in verità era un prestante giovanotto nero, studente alla Sorbona e senza
soldi .
Oggi
in Ospedale hanno portato un ferito grave per un incidente automobilistico.
Privo di conoscenza viene trasportato in rianimazione. Mi mandano a chiamare.
L’infermiere che è venuto a cercarmi mi dice che non c’è fretta perché tanto il malato sta molto
male. Lo guardo senza proferire parola e mi precipito lungo il sentiero che
conduce all’Ospedale. Quando arrivo, il mio amico medico mi racconta
l’accaduto. Il paziente respira male, è in stato precomatoso, non sento il
polso e non riesco a misurargli la pressione, assenza completi di riflessi, le
pupille non reagiscono alla luce. Penso ai miei amici rianimatori in Italia e
mentalmente mi rivolgo a loro: “che devo fare?” bisognerebbe intubarlo ma non
esiste laringoscopio, provo a dargli un
po’ di ossigeno. L’addome è trattabile ma presenta di certo una frattura del
femore destro. Da alcune ferite dell’arto inferiore fuoriesce abbondante
sangue, presenta inoltre un grosso ematoma in sede parietale destra . Arrivano
dal laboratorio gli analisti e chiedo di praticargli tutti gli esami del caso .
Gruppo sanguigno per prima cosa . Gli faccio attaccare subito del mannitolo . Il collega ha già provveduto
con i cardiocinetici e del cortisone . Deve fare assolutamente una radiografia
del cranio e del torace. Smontano l’apparecchio radiografico in radiologia e lo
trasformano in portatile. Dopo qualche tempo mi mostrano le radiografie, si
vede una lunga frattura del parietale destro ed una frattura pluriframmentata
del femore. Non è possibile distinguere nulla all’esame del torace.
L’elettrocardiografo sembra impazzito, nulla a che vedere con il paziente,
compaiono sul tracciato segni che possono bene essere confusi con geroglifici
ed altri con , Dio solo lo sa. Il mio caro amico medico avanza
un’ipotesi clinica ed io una certezza : “sta morendo”. Che posso fare ? Come mi sento inutile ed
incapace. Fuori nel caldo afoso un gruppo di persone donne per la maggior parte
e bambini attende in silenzio. Mi guardano sperando in qualche cosa di più.
Ritorno nel reparto, sono arrivati gli esami del laboratorio, non dicono nulla
di particolare. Non vi sono segni di grossa anemia. Tutto il male è racchiuso
nella scatola cranica. Ritorno nella stanza dei medici e mi riposo un po’. Una specie di sonnolenza
mi pervade, mi accorgo di avere le mani sporche di sangue, mi lavo e le lascio
asciugare al sole. Dopo non so quanto tempo, alcuni singhiozzi ed uno strano
lamento di donne, triste , disperato, mi annunciano ciò che aspettavo. Tutto si
è compiuto. Mi faccio coraggio e entro nella stanza , un uomo grande e grosso,
di una quarantina di anni sembra dormire. Ha ancora gli occhi aperti, sono
fissi in quelli di Dio.
Ciò
che scrivo non ha un filo conduttore, ma tutto è improntato sulla verità ,
scrivo ciò che ho visto e ciò che ho sentito dire da persone degne di fede. Mi
sono ripromesso di non fare critiche ma solo considerazioni.
Oggi
24 maggio , sono le 16.30 circa , mi vengono a chiamare e mi dicono di fare
presto, perché è arrivata una bambina alla quale, riferisco alla lettera: “è
caduta una mano”. Mi precipito verso l’Ospedale ed appena giunto mi si presenta
davanti uno spettacolo tremendo. Una piccina di circa dodici anni stesa sopra
una barella si regge il moncone dell’avambraccio, che cola sangue. Un
fazzoletto è legato stretto al braccio. La sala operatoria non è pronta ,
stanno finendo di operare un altro paziente. Mi faccio portare velocemente la
cassetta che contiene i ferri del pronto soccorso e tolgo il fazzoletto. Il
sangue zampilla dalla radiale, che blocco subito. Mentre un’infermiera regge il
moncone finisco di praticare l’emostasi. Tutto questo fra una decina di
spettatori , familiari e non . La piccola che fino ad ora si è solo lamentata
sotto voce, a questo punto perde i
sensi, Dio Santo, respira appena e superficialmente. Un infermiere dice che ha perso molto sangue, la macchina con la
quale è stata accompagnata è tutta sporca. Arrivano gli infermieri del
laboratorio e fanno i prelievi . Mi riferiscono subito il gruppo sanguigno
chiedo del padre e della madre e faccio praticare anche a loro il gruppo
sanguigno. Intanto giunge di corsa il medico di guardia con una busta di sangue , dice lui
compatibile. La piccina intanto si è ripresa un pochino, le pratichiamo la
trasfusione e che il Signore ce la mandi buona. Va tutto bene, dopo pochi
minuti passiamo in sala operatoria, non faccio in tempo a girarmi per dire di aspettare un po’, almeno una trentina
di minuti prima di operare per vedere come la piccola reagisce e mentre
restiamo in attesa delle analisi. Ma l’infermiere anestesista mi dice : “pronto dottore la paziente dorme”
vedo solo una siringa con l’ago in vena
“ho praticato anche un po’ di premedicazione con atropina e diazepan , ho fatto bene? “ “Ma si , tutto
va bene, preparate i ferri “. Non ci credo , ma penso che mi stia aiutando il
Signore a completare l’operazione. Ma
no, è J. T., l’infermiere operatore, ma fa lo stesso. Guardo il moncone
ricoperto, poi la fasciatura.. La bambina ha un sussulto e si risveglia . Apre
gli occhi. Non ha più la mano destra , ma è viva . Che magra consolazione.
I
giorni passano, con incredibile lentezza, eppure c’è molto da fare, si può dire
che non ho mai un momento di tempo libero, solo la sera tardi quando mi metto a scrivere perché il sonno
tarda a venire, mi ritrovo con me stesso. Meglio così , non si ha il tempo di
pensare e pensare è rovinarsi l’esistenza , è avere paura . Se
pensi ti senti ancora più estraneo da
questi luoghi , da questa gente . Si,
se pensi hai paura, di che cosa di preciso non so dirlo , ma ti assale una
sensazione strana. Ogni piccolo dolore, ogni piccola puntura , ogni starnuto diventa un uragano che se ti lasci andare ti
travolge, credetemi non esagero. Forse sono troppo ansioso , troppo epidermico
. Non credo di esser pauroso . Lo sono quel tanto da essere sempre in guardia ,
forse, che so , non per lottare ma per fuggire . Molti stranieri mi hanno
riferito di aver avuto aggressioni a scopo di rapina nella propria abitazione, da parte di bande di ladri e che quindi
sono tutti armati . Questo ha fatto sì, che essendo la mia abitazione un po’
lontana dall’Ospedale ed in mezzo ad un bosco, ogni rumore specie di notte,
quando tutto si ingigantisce, mi mette in una situazione di ansia, che non mi
lascia tranquillo. Ogni mattina quando mi sveglio tiro un sospiro di sollievo.
Mi
ha detto un giovane missionario
francese che ho incontrato in una sperduta missione alla fine
dell’altopiano dove inizia la savana: “quando da solo incominci a pensare, “ma chi me lo ha fatto fare !”,
è venuto il momento della partenza,
perché se ti metti a pregare, come ho fatto io, non parti più . Ma tu non ti preoccupare, sei un tecnico non sei un
missionario, non credo neanche che tu sappia pregare, parti pure quando vuoi ,
pensa però che anche la tua può essere una piccola prova alla quale senza che
tu lo sappia qualcuno ti ha sottoposto”.
Caro Padre M. ti invidio, quanto ti sono lontano , nello spazio e nel
tempo . Mi guardi sorridente , quante cose sai di me , pur non conoscendomi ,
lo leggo nei tuoi occhi . Vorrei spiegarti , vorrei .... ma che importa tanto
tu sai già tutto .
Un
fatto mi ha sorpreso fra tanti. Non ho visto cimiteri . Forse non ho guardato
bene. Ho chiesto e mi hanno detto che in verità come li intendiamo noi non
esistono e che i morti nella maggior parte dei casi vengono seppelliti vicino
all’abitazione, oppure anche all’interno della casa, sotto il pavimento. Specie
se è il padre, il capo famiglia e la casa non è di loro proprietà. Così facendo
è difficile che possano essere sfrattati perchè è raro che qualcuno l’affitti
con lo spirito del defunto che continua a convivere in quel luogo. Intorno alla
testa del defunto viene passato una gancio , così dopo tre o quattro anni il
cranio viene disotterrato, tirato su, ben lavato e pulito, poi con una
cerimonia funebre particolare viene riposto in una alcova , chiuso in un
piccolo altare vicino alla casa e degnamente riverito quale protettore. Ecco
manifestarsi il culto degli antenati .
E’
incominciata da qualche settimana la stagione delle piogge, veramente come
dicono qui, la piccola stagione , perché la grande , vera stagione delle piogge
inizia alla metà di giugno. Figuriamoci cosa deve essere , se questa che
scaraventa a terra credo tonnellate di acqua è considerata una pioggerella .
Piove a catinelle come diciamo noi, ma la gente lungo il margine della strada
continua a camminare come nulla fosse. Attraverso i vetri della macchina non
vedo nulla, ma l’autista ridendo mi rassicura (si fa per dire). Dice che vede benissimo anche se i tergicristalli
funzionano un colpo si e cinque no, ed io
mi raccomando allo spirito della pioggia . L’autista rispondendo ad una
mia domanda mi dice: “la gente è contenta di lavarsi, la pioggia rinfresca
la pelle poi torna i sole ed il caldo e
tutto è come prima” beati loro: Ma le strade, quelle che si dipartono
dall’unica asfaltata, quelle che ti portano nella vera Africa, diventano dei
pantani dove è pericoloso avventurarsi. Per alcuni mesi qui è quasi impossibile
recarsi da una località all’altra con qualsiasi mezzo che non siano le gambe.
Eppure a camminare nel fango credo si faccia una fatica del diavolo . Il caldo
in compenso si mantiene costante, è l’umidità che aumenta tremendamente. Si fa
fatica a respirare, è come trovarsi sott’acqua . Anche se siamo nella stagione
delle piccole piogge, quando vado negli ambulatori periferici, che qui chiamano
consultori mi sembra di diventare matto.
Il cuore faccio finta di non averlo, non ho il coraggio di sentirmi il
polso e poi penso, “a quale scopo? Che
potrei fare?”. Cerco come al solito di non pensare. Passando dalla macchina al
consultorio è come si mi avessero gettato un secchio di acqua tiepida in testa.
Entro nella stanza visite , mi scrollo come fanno i cani bagnati. Verifico che
il portafoglio ed il passaporto (bisogna sempre portarlo appresso) non siano bagnati , anche se li ho messi in
una custodia di plastica è meglio controllare. Incomincio le visite. Il primo
che entra, mi spiega l’infermiera, deve avere un’ernia e si vuole operare.
Penso che se è un’ernia del disco se la potrà tenere ancora per qualche decina
di anni. Si abbassa il pantalone e mi mostra il suo scroto, enorme, con sopra
adagiato, avete capito cosa anche esso
enorme. Non ho un attimo di esitazione e dico all’infermiera di preparare le
carte per il ricovero. Il paziente mi guarda e si mette a parlare con
l’infermiera, sorridono. Chiedo cosa le abbia detto: “dice che sei molto bravo
e che in pochi secondi hai capito subito tutto il suo male. Bella scoperta ,
anche se sono ortopedico ho ancora la vista buona.
Ho
fatto l’occhio in pochi giorni a diagnosticare i malati di Aids. Mi ha
insegnato alcuni accorgimenti semiologici la suora che cura i terminali. “Non
c’è bisogno che tu li visiti, non c’è quasi bisogno che tu li veda, devi
sentirli parlare. E’ il tono della voce e qualche volta se sono abbastanza
svegli, il racconto della loro
sintomatologia . Attento puoi confonderli con i sintomi del paludismo, ma il
tono della voce, anche se parlano una lingua che tu non conosci ti sarà di
aiuto più di ogni altra cosa.
Fuori
diluvia è un muro di acqua che ti toglie il respiro . Mi hanno chiamato
dall’Ospedale, è giunto un infermiere bagnato fino alle ossa che mi ha
consegnato un ex foglio di carta con
sopra scritto, e chi lo sa. Gli chiedo come mai è tutto bagnato. Mi
guarda e risponde: “piove” . Non so se sono io lo stupido. Mi dice che dobbiamo
muoverci, tanto giunto in Ospedale devo
andare in sala operatoria e quindi mi dovrò comunque cambiare tutto. Però che
logica, non ci avevo pensato. Via, stavo dicendo di corsa, mi correggo, a passo
veloce . Sulla testa, ho imparato tutto da solo, mi metto una cuffia da doccia
, che ho trovato in un albergo in Douala, così per lo meno i capelli restano
asciutti . Mi aspettano due galantuomini che si sono aggrediti a colpi di
machete, un paio di ore fa . Presentano ferite da taglio su buona parte del
corpo, per fortuna loro nessun colpo e penetrato in cavità. Le ferite più gravi sono localizzante alle mani e agli
avambracci. Sdraiati su due barelle vicine, nessuna espressione particolare sul
viso, sembra che tra loro non sia accaduto nulla. Sotto il primo mi dico, e
penso che per tre o quattro ore non uscirò dal forno, alias camera operatoria .
Ma, ecco il Paese degli imprevisti , la caposala mi fa cenno di aspettare, pare
che i biricchini non abbiano i soldi per pagare. Non vogliono dare le loro generalità,
che comunque daranno certamente o con le buone o con le cattive alla Polizia.
Continuano a dire che non hanno soldi e che nessuno pagherà per loro. Quindi,
secondo l’usanza locale, al massimo.... al massimo, gli potranno fasciare le
ferite con bende usate e lavate se gli andrà bene e poi torneranno al villaggio
e può darsi che gli passerà la voglia di litigare in questo modo così violento.
L’infermiere che mi è venuto a chiamare si siede vicino a me e a suo modo si
scusa per essere venuto a disturbarmi, :”due calci nel culo ci vorrebbero,
altro che far perdere tempo ai dottori.”. Intanto quello che sembra avere avuto
la peggio perde sangue da un lungo taglio sulla testa. Si volta dall’altra
parte e noto che il padiglione dell’orecchio gli penzola di lato . A questo
punto ordino gridando, che soldi o non soldi devono partarli in sala
operatoria. Finisco di operare come avevo previsto dopo circa un paio di ore.
Non so come andrà a finire per il pagamento. Esco all’aperto il temporale è
cessato. Quante stelle, che cielo limpido , pulito , però laggiù verso la
savana molti lampi non preannunciano
nulla di buono. Mi affretto verso casa, dove mi attende J. D., con la cena
pronta e al riparo dalle zanzare.
Conto
i giorni che mi separano dalla partenza. Oramai il progetto per il quale mi
trovo qui è quasi al termine. Dopo due mesi sono un po’ stanco ma un giorno
tornerò... fra non molto tempo, non so se me ne resta tanto per poter fare
progetti a lungo termine ...... E se Dio vorrà..
Signore insegnaci
a
non amare noi stessi,
a
non amare soltanto i nostri,
a
non amare soltanto quelli che amiamo.
Insegnaci
a pensare agli altri,
ed
amare in primo luogo
quelli
che nessuno ama.
Signore,
facci soffrire
della
sofferenza altrui.
Facci
la grazia di capire
che
ad ogni istante,
mentre
noi viviamo una vita troppo felice,
protetta
da Te,
ci
sono milioni di esseri umani,
che
sono pure tuoi figli e nostri fratelli,
che
muoiono di fame
senza
aver meritato di morire di fame,
che
muoiono di freddo
senza
aver meritato di morire di freddo.
Signore,
abbi pietà
di
tutti i poveri del mondo.
Abbi
pietà dei lebbrosi,
che
tendono verso la Tua misericordia
le
mani senza dita,
le
braccia senza mani….
e
perdona noi, di averli
per
una irragionevole paura, abbandonati,
e
non permettere più, Signore,
che
noi viviamo felici da soli.
Facci
sentire l'angoscia
della
misericordia universale,
e
liberaci da noi stessi.
Così
sia.
(Raoul Follereau)